"Mia madre mi raccontò che le prime cose che io scrissi furono continuazioni delle storie che leggevo, perché mi dispiaceva che finissero, oppure volevo cambiare il finale. E forse è ciò che ho fatto per tutta la vita senza saperlo."
Mario Vargas Llosa, dal discorso tenuto a Stoccolma il 7 dicembre 2010 in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura
“In un’epoca di divisioni che crescono pericolosamente, è necessario che ci mettiamo in ascolto. La buona scrittura e i buoni lettori abbatteranno le barriere”.
Kazuo Ishiguro, dal discorso tenuto a Stoccolma il 7 dicembre 2017 in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Letteratura 2017
“Quando scrivo, devo sentire tutto dentro di me. Devo passare attraverso tutti gli esseri e gli oggetti presenti nel libro. Ecco a cosa mi serve la tenerezza: la tenerezza è l’arte della personificazione e della compassione."
Olga Tokarczuk, dal discorso tenuto a Stoccolma il 7 dicembre 2019 in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura 2018
immagine: Un ragazzo siede tra le rovine di una libreria londinese dopo un raid aereo l'8 ottobre 1940
Il senso dell'arte secondo Giacometti. Vale per il dipingere, lo scolpire, lo scrivere. Il fare musica. Dunque anche per i libri belli e veri.
"Credo che, se si faccia poi scultura, pittura, o si scriva, è sempre per dare un certo senso di permanenza a ciò che fugge. Non si cerca solamente di vedere ciò che si vede, ma si cerca anche di dare a ciò che si vede un senso di permanenza, quasi di eternità"
Alberto Giacometti (1901-1966)
"La lettura può essere, a qualsiasi età, un rifugio ideale per costruire o preservare uno spazio individuale, intimo, privato, un luogo 'altro'. Una stanza tutta per sé, come avrebbe detto Virigina Woolf, anche nei contesti in cui sembra che non vi sia alcuna possibilità di disporre di uno spazio personale".
Michèle Petit, "Elogio della lettura", Ed. Ponte alle Grazie
Immagine: Edward Hopper (1882-1967), Study of Jo Hopper Reading, Whitney Museum of American Art
Il nostro Circolo dei libri ha una predilezione per Anton Cechov, sul quale fra l'altro abbiamo lavorato in una serie di incontri a distanza al tempo del COVID (ci aveva consolati e stimolati, come un compagno signorile e sensibile,pensoso e divertente al tempo stesso). Ecco su di lui il giudizio acuto di un altro scrittore russo, Vladimir Nabokov, che di Cechov ha colto l'ineffabile mix di malinconia e umorismo:
"I libri di Cechov sono libri per persone spiritose; vale a dire che solo un lettore con il senso dell'umorismo può realmente coglierne la tristezza. Ci sono scrittori il cui suono è una via di mezzo tra un risolino e uno sbadiglio... Ce ne sono altri in cui esso è una via di mezzo tra una risata di soppiatto e un singhiozzo - e uno di loro è Dickens. C'è anche quell'orribile tipo di umorismo introdotto dall'autore per cercare un momento di sollievo, puramente tecnico, dopo una scena tragica - ma è un trucco ben lontano dalla vera letteratura. L'umorismo di Cechov non corrisponde a nessuno di questi tipi; è puramente cecoviano. Le cose per lui sono insieme buffe e tristi, ma non potete accorgervi della loro tristezza se non cogliete la dimensione buffa, perché i due elementi sono legati tra di loro".
(Da: Vladimir Nabokov, "Lezioni di letteratura russa", Garzanti, 1987)
"Se vogliamo conoscere il senso dell'esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell'angolo più oscuro del capitolo, c'è una frase scritta apposta per noi".
Pietro Citati, "Il sogno della camera rossa", 1986
"I libri hanno valore soltanto se conducono alla vita, se servono e giovano alla vita, ed è sprecata ogni ora di lettura dalla quale non venga al lettore una scintilla di forza, un presagio di nuova giovinezza, un alito di nuova freschezza"
Hermann Hesse, Scritti letterari (edizione1972)
immagine: cortile Palazzo del Bo, Padova, XVI sec
Da "Come un romanzo", di Daniel Pennac:
"Ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo prima della fine: la sensazione del già letto, una storia che non ci prende, il nostro totale dissenso rispetto alle tesi dell'autore, uno stile che ci fa venire la pelle d'oca o viceversa un'assenza di stile non compensata da alcuna ragione per proseguire oltre. Inutile enumerare le 995 altre ragioni, fra le quali si debbono tuttavia annoverare la carie dentale, le angherie del capufficio o un terremoto del cuore che ci paralizza la mente. Il libro ci cade dalle mani?Lasciamo che cada."
Giudizio da condividere in pieno. Con una aggiunta: oltre alle mille ragioni per smettere di leggere un libro, ci sono almeno mille ragioni per non smettere di leggere un altro libro, altri libri.
Illustrazione: Hans Olaf Heyerdahl, Sguardo su Vinduet, 1881
"Un buon lettore, un grande lettore, un lettore attivo è un "rilettore"
Cosi scriveva Vladimir Nabokov, ed era nel giusto. Un buon libro è un libro che si può -e si vuole spesso- leggere un'altra volta, o più volte. Col passare del tempo il lettore appassionato si accorge di due cose. La prima è che nella sovrabbondante offerta dell'attualità editoriale ci sono molti, troppi libri. Già per una evidenza statistica, è impossibile che fioriscano cosi tanti libri belli o addirittura "capolavori" come strillano le fascette di copertina. La seconda cosa: prima o poi ci accorgiamo di quanti siano i libri forti, sicuri, che ci colpirono e segnarono e che sembrano aspettarci al varco di un ritorno, per essere incontrati di nuovo. Oltre a ciò, sappiamo bene, poi, quanti siano i titoli classici ben collaudati nel tempo che ancora aspettano che noi li conosciamo. Ben vengano, nondimeno, le novità di qualità, da scegliere con discernimento. Questa riflessione vale per i libri forti della letteratura "alta" ma anche per quelli, di lievità e finezza, detti di intrattenimento. Al di là dei generi e delle profondità, infatti, alla fine ci sono solo buoni libri e libri meno buoni, o cattivi. Nell'immagine: Paul Klee, "Libro aperto", 1930, tempera su tela preparata con laccaSolomon R. Guggenheim Museum, New YorkCIRCOLI DI LETTURA INVERNO-PRIMAVERA 2024
Lunedì 5 e giovedì 8 febbraio 2024 a Bellinzona e Lugano:
Guy de Maupassant, “Racconti e novelle”, Garzanti
ci soffermeremo sui racconti “Pallina”, “La casa Tellier” e “La signorina Fifi”
Lunedì 4 marzo 2024 e martedì 5 marzo a Bellinzona e Lugano:
Guy de Maupassant, "Una vita", Rizzoli
Lunedì 8 e martedì 9 aprile, a Bellinzona e Lugano:
Arthur Schnitzler, “La signorina Else”, Adelphi
Lunedì 6 e martedì 7 maggio, a Bellinzona e Lugano 1 e 2:
Come sempre per l’ultimo appuntamento, lasciamo aperta la porta alla sorpresa.
Gli incontri si svolgono a Bellinzona presso l'Hotel Internazionale alle ore 20:00 e a Lugano i primi due incontri presso l'Hotel Splendide e in seguito all'Hotel Villa Castagnola, alle ore 16:30 e alle ore 20:00.
Per iscrizioni e informazioni:
info@circolodeilibri.ch
079 456 44 87
(m.f.) È Natale, lo si può dire e vivere in molti modi, tra memoria e tenerezza, incanto e malinconia, fede e feste. In libertà. Oggi evochiamo il tempo natalizio ricordando una bella canzone di Francesco De Gregori: “Natale”. La potete anche reperire via Internet, oggi chi cerca trova. È una canzone delicata, malinconica ma anche speranzosa. Nasce dentro un’aria di neve (come ci manca, oggi, qui!) nella timida attesa – illusa, disillusa, rilanciata – di qualcuno di amato che sta per tornare, insomma dovrebbe, chissà se arriva? Sarà l’innamorata, una vecchia fiamma, un affetto appena sbocciato da approfondire, una cara persona che ritorna? Ma il tempo di Avvento dice anche l’attesa del Mistero totale della vita, no? E allora si aspetta sempre, verso Natale, il bussare di qualcuno cui si vuole bene ma anche di qualcosa (qualcuno?) che sia il senso stesso di tutto il voler bene nostro e del mondo e di sempre. Basta discorsi, ecco alcuni di quei versi (poi se volete ascoltate tutta la canzone): “C’è la luna sui tetti c’è la notte per strada/e le ragazze ritornano in tram/ci scommetto che nevica, tra due giorni è Natale/ ci sommetto dal freddo che fa./ E da dietro la porta sento uno che sale/ma si ferma due piani più giù/ è un peccato davvero ma io già lo sapevo/ che comunque non potevi essere tu./ E tu scrivimi, scrivimi,/se ti viene la voglia/ e raccontami quello che fai/ se cammini nel mattino e ti addormenti di sera/ e se dormi, che dormi e che sogni che fai…/Qui la gente va veloce e il tempo corre piano/ come un treno dentro una galleria/tra due giorni è Natale e non va bene e non va male/buonanotte, torna presto e così sia”. E tu scrivimi. Che bello: se proprio non puoi venire, scrivimi. Dice ancora: “E tu scrivimi, scrivimi per il bene che conti/ per i conti che non tornano mai/ se ti scappa un sorriso e ti si ferma sul viso/ quell’allegra tristezza che hai.”
immagine: Gabriele Münter, "Petit déjeuner des oiseaux", 1934
Pensieri e letture sullo strano incanto dell'inverno
(m.f.) Mi piace l’inverno. Tanto più se è freddo e nevoso (mi piacciono le stagioni con carattere: caldo d’estate, freddo d’inverno). L’inverno sfida l’uomo e il suo ingegno, molto più delle altre stagioni e lo ha sempre indotto a difendersene, sin da quando senza legna da bruciare e pellicce e lana con cui coprirsi, si moriva. L’inverno è però stato sempre anche la stagione in cui il gelo bianco dell’esterno dava valore all’alone di luce e al caldo salvifico dell’interno. Già nella notte dei tempi, davanti al fuoco, mentre fuori infuriavano bufere di neve, si raccontavano storie, fra incanto e paura.
Negli ultimi anni quando si avvicina l’inverno metto mano a tre libri che mi incuriosiscono sempre: perché la storia dell’uomo può essere letta anche attraverso quella dell’inverno. Lo ha fatto benissimo un importante storico svizzero, François Walter, dell’Università di Ginevra, in un suo saggio: “Hiver. Histoire d’une saison”, Payot (sarebbe bello tradurlo in italiano). Walter dimostra come d’inverno l’uomo abbia dovuto accendere intelligenza ed estro: tenere aperte strade e valichi, affrontare carestie e malattie aggravate dal freddo, riscaldare i luoghi dove sopravvivere: le caverne, le capanne, le case di sassi, legno e paglia. L’inverno ha sempre influenzato le imprese di uomini, eserciti e popoli (basti solo pensare alle disfatte di Napoleone e poi di Hitler nel gelo devastante dell’inverno russo). Da che esiste la storia umana, d’estate si poteva dormire sotto le stelle, bastava poco fuoco per cuocere il cibo e basta. D’inverno senza fuoco si moriva. L’energia era solo quella ed era appena fuori casa. Ma bisognava prepararla d’estate, come formiche. E certi boschi erano solo dei padroni e così altri boschi erano messi in comune (nelle nostre regioni alpine e prealpine le “vicinanze”, i patriziati). L’inverno ha insomma sempre sfidato l’uomo: si lottava.
C’è un altro libro: “Inverno, il racconto dell’attesa”, di Alessandro Vanoli, Il Mulino. Vanoli, scrittore e storico, racconta il rapporto fra gli uomini e l’inverno, accentuando l’approccio antropologico e riservando spazio anche alla cultura religiosa. L’inverno fu, soprattutto nel passato, il tempo del freddo buio crescente che impauriva. L’uomo ha innestato nel calendario, da novembre a dicembre, tutta la complessa ritualità delle sue celebrazioni antiche, pagane e cristiane (dall’ evocazione dei morti alla rinascita della luce nel solstizio invernale, alla celebrazione della nascita della “luce” di Cristo nella notte di Betlemme). L’Avvento, l’Attesa, sono una connotazione implicita e desiderosa della stagione più buia che va ricercando la luce e il calore. Esiste una intimità dell’inverno sociale e affettivo: “Il silenzio attorno, noi al caldo di un fuoco acceso. È la storia millenaria di una natura che trattiene il respiro.”
Altro libro, altro approccio: Adam Gopnik, in “L’invenzione dell’inverno”, Guanda, racconta il processo di mutazione della percezione dell’inverno lungo il filo dell’avventura umana. D’estate, nella civiltà contadina, si lavorava duro nei campi e sugli alpeggi. D’inverno il lavoro si riduceva, faceva buio presto, si stava accanto al fuoco, per risparmiare legna ci si radunava a gruppi familiari attorno a un unico focolare o nelle stalle al tepore delle mucche. E nascevano narrazioni di meraviglia e paura, sbocciavano pettegolezzi e amori, si combinavano fidanzamenti. Gopnik studia l’esperienza umana dell’inverno, parla degli esploratori che sfidavano nevi e ghiacci nella tormenta, della nostalgia e della ricerca del rifugio caldo. E dice che l’inverno comodo che piace a noi, quando stiamo al caldo a guardare dalla finestra la neve che cade, non è sempre stato così. L’inverno nuovo è stato “inventato” a poco a poco. Alla legna si sono aggiunti il carbone, il gas, l’elettricità, la nafta, le termopompe; il benessere ha addolcito la dura stagione. Lascio parlare l’autore: “In una poesia del 1785, “Sera d'inverno”, William Cowper parla del postiglione che arriva dalla modernità di Londra al suo cottage fuori mano per portargli il giornale pieno di notizie, descrive la sua lettura, seduto accanto al fuoco con accanto una tazza di tè caldo. È una scena incredibilmente moderna: un po' di teina in una mano, il giornale nell'altra e il fuoco acceso, mentre le notizie mantengono una confortevole e rassicurante distanza dalla città. Ora tutto il nuovo mondo della famiglia borghese, che condivide un focolare e un desco comuni, è mostrato più affascinante d'inverno che in qualsiasi altro periodo dell'anno.” Ha ragione la Lara del Dottor Zivago quando dice a una sua amica, in un pomeriggio di neve turbinosa: “Vieni da me a bere un tè. È bello, quando nevica, stare dentro, al caldo, a parlare di cose intelligenti.”
Immagine: Pieter Bruegel il Vecchio, "Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli"