2021
Natalia Ginzburg, "Caro Michele", EinaudiLEGGI LA RECENSIONE
In attesa di poterci incontrare di nuovo in presenza, proponiamo(come nella primavera scorsa) tre appuntamenti a distanza), via Zoom. Ecco le date previste e i titoli:
lunedì 22 febbraio, ore 2030: Vercors, “Il silenzio del mare”, Einaudi (racconto breve)
lunedì 1. marzo, ore 2030: Silvio D’Arzo, “Casa d’altri”, Einaudi (racconto)
lunedì 29 marzo, ore 2030: Natalia Ginzburg, “Caro Michele”, Einaudi (romanzo breve)
Iscrizioni: info@circolodeilibri o 0041 79 456 44 87.
Per chi non conoscesse ancora quel metodo di riunioni a distanza, basta cercare Zoom su Internet e seguire le procedure. Per ogni aiuto siamo a disposizione.
Le riunioni dureranno un’ora e 15 minuti.
Il costo di ogni incontro è di Fr 20. Per chi già non avesse un credito a proprio favore, la quota di 20 fr per lezione (fr. 60 per 3 corsi) va versata a:
Circolo dei libri
6528 Camorino
IBAN CH09 0900 0000 6574 5948 5
100 anni fa (l'8 gennaio del 1921) nasceva Leonardo Sciascia: scrittore, uomo di pensiero critico e libero. Da "Nero su nero" (Einaudi), un suo "diario":
"Rifletto su me stesso: e che sono sempre, facendo letteratura o parlandone, un maestro di scuola. Non riesco, cioè, ad amare tutta la letteratura; e anzi molta ne respingo, ne ignoro, ne voglio ignorare. Picasso diceva: ‘sono come gli ubriaconi, che amano qualsiasi vino: la pittura mi piace tutta’. E così è: a un vero pittore dovrebbe piacere tutta la pittura, a un vero letterato tutta la letteratura. Non sono dunque (ma lo sapevo già) un vero letterato”.
Sciascia sa bene che questo è un paradosso, sa quanto non sia vero che a un vero pittore debba piacere tutta la pittura (nemmeno Picasso poteva esserne convinto) e a un vero letterato tutta la letteratura. Difendere tutti i libri soltanto perché sono libri è una specie di ideologismo intellettuale, che cozza contro la libertà di amare intensamente dei libri, di detestarne altri, di restare indifferenti su altri ancora. Del resto Sciascia in un altro suo appunto graffia:
“Non amo frequentare i salotti e i caffè letterari: le riunioni di persone intelligenti mi pare producano, non so perché, astrale cretineria. Pertanto preferisco il Circolo del mio paese”.
Scrive Alberto Manguel, saggista e romanziere argentino:
"Anch'io leggevo a letto. Nella lunga serie di letti in cui ho passato le notti della mia infanzia, in strane camere d'albergo dove i fari delle auto che passavano proiettavano ombre paurose sul soffitto, in case i cui odori e suoni mi erano sconosciuti, in cottage estivi bagnati dagli spruzzi del mare, o in montagna dove l'aria era così secca che mettevano accanto al letto una bacinella d'acqua con essenza d'eucalipto per aiutarmi a respirare, il binomio letto-libro mi garantiva una sorta di casa in cui sapevo di poter tornare, notte dopo notte, sotto qualunque cielo. Nessuno avrebbe potuto strapparmi da quel rifugio; il mio corpo, immobile sotto le lenzuola, non aveva bisogno di nulla. Ciò che accadeva, accadeva nel libro; e io ero il narratore. La vita si svolgeva perché io voltavo le pagine. Credo di non ricordare gioia più grande, più totale, di arrivare alle ultime pagine e posare il libro, in modo da rimandare la fine all'indomani, e affondare la testa nel cuscino con la sensazione di avere veramente fermato il tempo"
Alberto Manguel, Storia della lettura, Feltrinelli
Illustrazione: Giovanni Giacometti (1868-1933) "La lettrice", xilografia, 1912
Umberto Eco (1932-2016) in una sua "Bustina di Minerva" ("Espresso", anni '90):
"Si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro. Dovrebbero preoccuparsi solo coloro che di libri non ne leggono mai. Ma proprio per questa ragione essi sono gli unici che non avranno mai preoccupazioni di questo genere".
Un pensiero fulminante che dice il vero. Soprattutto per la preziosità, oltre che della lettura, anche della rilettura. In quanto al fatto che chi non legge libri non se ne preoccupa, è evidente. Ma non ci deve essere in questa evidenza lo snobismo di chi pensa che i lettori siano migliori, persino moralmente, dei non lettori. Non è vero. Semmai si può azzardare un'analogia con l'innamoramento. Se uno è innamorato e la persona amata è lontana, ne ha nostalgia. E quando la persona amata ritorna, la abbraccia con gran piacere. Se uno non è innamorato, non può provare nessuna nostalgia per l'assenza e nessun piacere per il ritorno. Ma può star bene lo stesso.
Una giovane donna uccisa nell'estate del 1921 e un assassino rimasto nell'ombra, nel romanzo incompiuto - finora inedito in italiano - di Friedrich Glauser. Cent'anni dopo un altro autore svizzero, Andrea Fazioli, si trova invischiato in quel caso irrisolto...
Fin dagli anni venti del Novecento, lo scrittore Friedrich Glauser progetta un romanzo poliziesco che vede come protagonista il sergente Studer (l'indimenticabile, calmo e intuitivo investigatore che i lettori italiani di Glauser hanno imparato a conoscere grazie ai titoli pubblicati da Sellerio). Ambientato ad Ascona, sul Lago Maggiore, nel 1920, il romanzo racconta del ritrovamento del cadavere di una giovane donna nei pressi del Monte Verità, popolato in quegli anni da artisti e personaggi tanto eccentrici quanto sospetti. Glauser abbozza alcuni diversi inizi di quel romanzo, che poi lascia interrotto: il libro non verrà mai concluso e il colpevole del delitto di Ascona rimarrà nell'ombra… A 100 anni da quel caso irrisolto, Andrea Fazioli, giallista svizzero di lingua italiana, riprende i frammenti di Glauser e li incapsula in un intreccio singolare e trascinante in cui lui stesso finisce per trovarsi coinvolto.
In una torrida estate del 1921 Jakob Studer, commissario della polizia di Berna, è in vacanza con la moglie ad Ascona, un tranquillo villaggio di pescatori affacciato sul Lago Maggiore.
Nulla sembra guastare la quiete sonnolenta del posto, fino al momento in cui Studer viene avvicinato da uno scrittore, come lui svizzero tedesco, che gli chiede aiuto. Non lontano dalla sua precaria abitazione, sul sentiero ai margini del bosco, è stato ritrovato senza vita il corpo di una giovane donna, e la polizia locale è convinta che il colpevole sia lui.
Tra le camelie in fiore, commercianti annoiati e bonari poliziotti con i quali è facile incappare in malintesi, Studer comincia svogliatamente a indagare sulla vittima, una danzatrice straniera amica di un vecchio barone caduto in disgrazia e vicina agli eccentrici artisti del Monte Verità.
Per Capodanno, facciamo un passo indietro (e di molti anni) e lasciamo parlare Giacomo Leopardi (1798-1837). Nel suo "Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere" (in "Operette morali") Leopardi si sofferma sui propositi (e le illusioni) di ogni cambio d’anno: all'ottimismo del passeggere sul futuro risponde la cauta, quasi scettica speranza del venditore. Il Circolo dei libri, al termine di un anno difficile e all'alba di quello nuovo, vi presenta una sintesi e una riflessione su questo celebre passaggio di Leopardi, che non fu soltanto grandissimo poeta ma anche un prosatore di altissimo intelletto. (cont.)
Con questo bel dipinto di Domenico Ghirlandaio, del 1492, che evoca la fragile, amorosa tenerezza della Natività, il Circolo dei libri augura a tutte e a tutti gli amici, i simpatizzanti, i partecipanti ai Circoli di lettura, i curiosi che danno uno sguardo al nostro sito, giorni natalizi sereni e veri e ogni bene per l'anno nuovo. Ci ripetiamo, si sa: in questi giorni di letizia calma, di parole e gesti importanti ma anche di prezioso silenzio, leggere buoni libri al caldo e alla luce delle nostre care case mentre fuori respira l'inverno, è un piacere e una ricchezza. Buon Natale.
John le Carré è morto lunedì, all’alba dei suoi novant’anni. Fu un agente segreto al servizio di Sua Maestà Britannica, fu un gentiluomo di antica tradizione ma pronto ad appassionarsi e indignarsi per fatti nuovi; ma fu soprattutto uno scrittore, un grande scrittore. Non depisti i lettori la solita distinzione riduttiva del genere letterario, che nel suo caso è (soprattutto: ma ha scritto anche altro) quello delle storie di spionaggio. Come ha affermato Antonio Carioti lunedì sul Corriere della Sera, “Le Carré è stato in assoluto uno degli autori di lingua inglese più importanti nella seconda metà del Novecento”. Non si discute. Nel 1963 John le Carré (che in realtà si chiamava David Cromwell) con “La spia che venne dal freddo” ottenne un successo mondiale, avendo raccontato i retroscena segreti della Guerra fredda nella illividita atmosfera della Berlino del Muro. Poi vennero i romanzi “La talpa”, “L’onorevole scolaro”, “Tutti gli uomini di Smiley” , con l’agente segreto George Smiley, di acuta intelligenza e goffa presenza: grassoccio, occhialuto, tradito dalla moglie, niente ardimenti eroici alla 007 ma pensose elucubrazioni sostenute da una eccezionale perspicacia nello snidare i grovigli della natura umana. Perché Le Carré in definitiva racconta trame, tradimenti, trappole, ambizioni ambigue ma soprattutto narra con respiro potente l’ineffabile caos della stoffa umana e rovista al fondo delle coscienze o della loro assenza. Seguirono altri romanzi, talvolta con il ritorno di Smiley (“Casa Russia”) oppure con l’affondo nelle ferite aspre del conflitto israelo palestinese (“La tamburina”) e altro ancora. Caduto il muro di Berlino, Le Carré ha continuato a esplorare intrighi e misteri, evocando grandi criminali, grandi cinismi, grandi danni della globalizzazione. Nell’ultimo suo romanzo, uscito un anno fa, il giovane ottantanovenne Le Carré narrava un ennesimo intrigo di spie sempre attive, all’ombra della Brexit e del cupo cipiglio – non amato – di Donald Trump (vedi il video e la recensione).
A 20 anni dalla scomparsa di Giorgio Bassani (1916-2000) ecco un medaglione di ammirazione e di affetto per il più celebre personaggio della poderosa creazione letteraria del grande scrittore di Ferrara: Micòl, Micòl Finzi-Contini, così enigmatica e bella, così indecifrabile e inespugnabile, la protagonista del più noto dei romanzi di Giorgio Bassani. “Il giardino dei Finzi-Contini” è sontuosamente inscenato su due fondali, uno temporale e l’altro geografico, fisico, reale e immaginario al tempo stesso. Il primo è quello della stagione torbida del fascismo e delle leggi razziali, in una Ferrara dove i ragazzi della buona borghesia ebraica vengono a poco a poco emarginati dalla discriminazione. L’altro scenario, centrale, è quello di Ferrara ma soprattutto del vasto, lussureggiante giardino degli aristocratici Finzi-Contini, nel quale vengono accolti, per partite di tennis, merende, frequentazioni sempre più intense, i giovani correligionari espulsi dai circoli cittadini per indegnità di razza. In quell’isola effimera, per poco felice, febbrile (in un autunno e in un inverno anche metaforici) si disegna l’amore irrequieto e intenso dell’Io narrante per la ragazza di casa, Micòl, bella di un biondo suo, di una sua impertinenza dolce. Lei gli vuole bene, molto bene, gli regala una amicizia profonda. Ma al goffo tentativo di assedio amoroso di lui, lei si richiude, dice che non si può, che loro due sono troppo simili, uguali, per sopraffarsi in un amore, perché l’amore “è roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce”. Lei sfugge, parte, ritorna, un po’ perdona l’insistenza di lui ma poi si chiude, dolorosamente punitiva. Lui ne soffre, come succede in tutti i grandi amori unilaterali o corrisposti in modo asimmetrico. Tralascio qui la nervatura della storia, le lunghe chiacchierate, le ricognizioni intime dentro il giardino immenso, le gelosie, il mistero del rapporto fra Micòl e il concreto giovanotto lombardo Giampi Malnate. Dico solo che Micòl è forse il personaggio femminile più complesso e affascinante di tutta la letteratura italiana del ‘900: sensibile, intelligente, capricciosa e misteriosa, malinconica: “il futuro, in sé, lei lo aborriva, ad esso preferendo di gran lunga ‘le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui’, e il passato, ancora di più, ‘il caro, il dolce, il pio passato’ “. Il suo negarsi è forse una specie di sacrifico, a modo suo, perché il suo innamorato goffo avesse finalmente, più che l’amore impossibile per lei, la vita vera, completa, fuori dal giardino bellissimo e imprigionante, fuori dalla tragedia del nazifascismo che disperderà l’inconfondibile stile “finzicontinico” con un ultimo lampo breve degli adorati capelli biondi di Micòl.