Circolo dei Libri

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03agosto
2016

Ricorreva a luglio il centenario della nascita di Natalia Ginzburg. Era nata infatti il 14 luglio del 1916, è morta 25 anni fa, il 7ottobre del 1991. Natalia Ginzburg fu una figura forte, perentoria, della vita culturale e civile italiana. La sua voce narrativa è vivida, con una stoffa originale, modulata in una soluzione stilistica in cui la semplicità e la chiarezza si impastano sempre con una tensione lirica. A dispetto del suo forte impegno politico e civile, lei cantò piuttosto le armonie e soprattutto le disarmonie dei piccoli mondi familiari attorcigliati, tesi e irrisolti, narrati con un respiro spesso appunto lirico.

Natalia Ginzburg aveva esordito, dopo qualche racconto giovanile, nel 1942 con un romanzo firmato con uno pseudonimo (c'erano le leggi razziali), "La strada che va in città (ristampato nel 1945 con il suo vero nome). Poi seguiranno altri romanzi e racconti. Ma è nel 1963 che mette a segno un'operazione narrativa tutta sua, azzardata e felice, che tocca il cuore dei lettori: "Lessico familiare" (premio Strega) che costituisce una intima lavorazione linguistica partendo dalla unicità di una storia non ripetibile, accaduta e finita ma al tempo stesso sempre viva proprio grazie al miracolo delle locuzioni e della memoria verbale. In quel romanzo lei fa riaccadere i giorni lontani e perduti della sua infanzia e giovinezza e l'arruffata, stravagante compagnia affettiva di una famiglia singolare, bella, intelligente: la sua. E lo fa rievocando i codici linguistici intimi e gli aneddoti della propria epica familiare.

Nei romanzi successivi Ginzburg scruta con emozione asciutta ma sensibile dentro i grovigli dei microcosmi familiari, delle tensioni e degli affetti, delle parole dette e soprattutto di quelle non dette o sbagliate, della somma di solitudini. C'è una certa amarezza, nei ritratti umani della Ginzburg, speziata spesso da una lieve, delicata comicità ma senza troppo ottimismo. In "caro Michele" il protagonista viene indagato attraverso le lettere, diversamente umorali, che egli riceve via via dalla madre (un rapporto difficile, quello), dalla sorella e da una ex ragazza che poi ha avuto un figlio (chissà, forse dallo stesso Michele). Le nervature dei gorghi familiari appaiono anche in "Famiglia", in "La città e la casa" e pure in "La famiglia Manzoni", che è una spietata requisitoria sull'aridità affettiva del grande Manzoni (giustificato anche da dolori e lutti) nella sua relazione con i figli e soprattutto con la sventurata Matilde. Non si può qui dire tutto. Concordo però con Pietro Citati quando scrive che il miglior libro della Ginzburg è "Le voci della sera". Anch'esso racconta una storia di intrecci familiari avviluppanti e friabili, fra speranze incompiute e amori avvizziti. La narrazione è un susseguirsi di frasi colte nell'aria, scambi di affetti e stizze.Il suono ilare, in tonalità maggiore da commedia, ad ogni svolta della narrazione si muta in tonalità minori e più dolenti. Ecco un brano di dialogo spiccio:

"Lui mi dice, a volte:

-Guarda che non ti sposo.

E i mi metto a ridere, e dico:

- Lo so.

- Dice: - Non ho voglia di sposarmi. Se mi sposassi, mi sposerei forse con te.

- E dice: - Ti basta?

- Dico: Lo faccio bastare".

Nei romanzi della Ginzburg ci sono moltissimi personaggi che "si fanno bastare" quel che acciuffano (sentimenti, felicità adombrate) e per esausta impotenza o indifferente stanchezza perdono l'occasione di osare azzardi e desideri che non basterebbero mai.