Gabriele Pedullà
Einaudi
Per apprezzare meglio questo romanzo servirebbe saper pattinare con i pattini a rotelle. Ma anche non sapendolo fare si riesce a cogliere il fascino di una storia di pattinatori appassionati, persino un po' maniacali. Si ritrovano ogni giorno al Pincio, uno dei colli di Roma, in mezzo ai giardini, su un vasto spiazzo di asfalto liscio. E' un ritorno di stile agli anni '80, quando dagli U.S.A. era giunta anche in Europa la moda dei pattinatori vestiti con colori vivaci, leggins color fucsia o corte gonne jeans per le donne, abiti stravaganti e vistosi per i maschi, molti braccialetti e nastri e orpelli. E le canzoni di Michael Jackson e i gruppi rock e pop ma anche Rossini e i valzer di Strauss"… Ruggiero e Olimpia, coppia giovanile al confine con la mezza età, scoprono quel mondo chiuso e danzante, lo spiano, ci prendono gusto, riprendono anche loro a pattinare, diventano adepti di quella che loro chiamano in modo divertito una Chiesa, quella di "Nostra Signora della Rotella". A quel microcosmo in movimento, a quel gruppo sociale che ha compiuto un patetico ma divertente salto indietro nel tempo è dedicato tutto il romanzo. Le descrizioni quasi ossessive di tutto quel pattinare (ma anche del caotico traffico di Roma e della sua complessa topografia) fanno parte della soluzione narrativa originale del romanzo, di cui colpisce, accanto all'eccentricità giocosa dell'invenzione, lo stile: musicale, ben tornito, fatto di ritmi e ampie volute, accuratissimo (viene in mente certa meticolosità alla Bassani, per intenderci). La rigorosa eleganza stilistica permette al "pattinaggio" della scrittura anche figure riflessive più profonde sui giorni nostri, sulla vita. Come a proposito della maniacalità delle fotografie con i cellulari: "Fotografavano, fotografavano sempre, fotografavano tutto, ma più che altro tutti fotografavano (era questo il punto, ormai non c'era più nessuno che non lo facesse). Interrogati in proposito, avrebbero faticato a spiegare come, soltanto qualche anno prima, c'era stato un tempo in cui la loro giornata non esigeva quelle immagini per assumere la giusta consistenza, quando il mondo era stato a fuoco senza bisogno che qualcuno lo inquadrasse prima nell'obiettivo". Ci sono affondi anche sulle tentazioni della retorica descrittiva, incarnata da un pattinatore che per la sua barba viene chiamato il Professore e indulge alla bottiglia e alla chiacchiera, anche in una splendida notte estiva odorosa di tigli: ""… Il Professore non sa rinunciare ai suoi commenti, come se una notte così perfetta avesse davvero bisogno che qualcuno ci ricamasse sopra tante storie"…Ma lui rimane insensibile al livello puramente istintuale delle cose"…". Pedullà bacchetta questa tentazione verbosa della narrazione ad ogni costo (in cui tutti rischiamo di cadere"…): " Al Professore piace trarre la morale, ecco tutto: riassumere, chiosare, fare il punto, come se le parole aiutassero gli istanti a incidersi nella memoria e a conservarsi per le sere invernali"…, ha inventato un modo tutto suo di conservare i pomeriggi e le serate venute meglio in una specie di salamoia di avverbi e di aggettivi". Però il Professore sa evocare la metafora sottesa del romanzo: dietro all'agitato e compulsivo pattinare c'è l'immagine della vita"…: "Mai fermi, perennemente in movimento. Detto così sembrerebbe un elogio"…Ma poi di colpo"…il Professore devia su una nota amara e risentita. E' solo un'illusione (dice adesso)"…Ed eccolo che inizia a prendersela con tutti loro, con se stesso, con quello sforzo inutile e senza direzione (dice), così immobili nonostante il movimento e proprio per questo condannati a girare all'infinto, insomma paralizzati nel loro illusorio dinamismo, come tutti coloro che, per quanto si affannino, non arrivano da nessuna parte perché non c'è un posto che intendano raggiungere davvero, e allora girano, girano, girano ancora: unicamente perché non saprebbero cos'altro fare, per abitudine, o perché, girando, per qualche ora riescono a stordirsi col proprio stesso moto. Esattamente come loro".
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