Circolo dei Libri

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27settembre
2016

Philip Roth

Einaudi

Roth, si sa, divide. C'è chi lo ama con devozione assoluta e chiede ogni anno il Nobel per lui, c'è chi lo trova ossessivo e qua e là addirittura morboso. E discontinuo. Si può però affermare con certezza che Philip Roth è un grande scrittore. Roth è spiazzante, un po' iconoclasta, ha avuto anche slanci (o cadute) da erotomane, è un ebreo americano beffardo e un po' sacrilego, ha sbalzi di acuta cattiveria e ha punzecchiato e ferito molte volte la brutta e la buona coscienza americane. E' uno scrittore di altissima qualità stilistica e narrativa ma è anche corrosivo, perturbatore non ideologico ma esistenziale e morale: punta diritto al nocciolo delle persone e della società, evoca ferite interiori, ammaccature di esistenze, fruga fra i peccati della carne e quelli dello spirito, mette in scena la vita della contemporaneità sfibrata senza trucchi, belletti, analgesici o tranquillanti.
"Lasciar andare", il suo primo romanzo ora ritradotto da Einaudi, è la storia abbastanza ingarbugliata, fra inquietudine e sentimenti, di un giovane professore di lettere, Gabe Wallach, ebreo, appena congedato dall'esercito. Siamo negli anni '50, sotto la cenere cova la brace di piccole rivoluzioni sociali, di costume, morali, culturali. Gabe ama lo scrittore Henri James e vorrebbe tradurre nella concretezza della propria realtà "il mondo dei sentimenti" scoperto nella narrativa dello scrittore angloamericano. Il romanzo narra gli incontri sentimentali, fisici, psicologici e anche culturali di Gabe con alcune persone, in particolare con due donne. Gabe diventa amico di Paul Herz, riccioluto collega accademico ebreo quasi ridotto sul lastrico e di sua moglie Libby, magra e febbrile, conturbante e un po' spostata. Gabe se ne innamora ma non vuole dirselo fino in fondo e soprattutto non vuole creare danni. Poi incontra Martha Reganhart, corposa, sensuale e vulcanica divorziata con due bimbi, e lì nascono i fuochi d'artificio di una relazione e di continui battibecchi fra l'amoroso e il risentito. L'ho messa così in una sintesi accennata per non togliere nulla al piacere di scoperta del lettore. Di fatto Gabe si arruffa dentro le contraddizioni, i desideri, i pasticci amorosi e le congetture di un intellettuale americano quasi all'alba degli anni '60. Verso la fine del romanzo affiorano anche svolte drammatiche. La prosa di Roth è già sontuosa e qui scintillano in particolare, per ritmo, comicità, drammaticità e taglio diretto, i moltissimi dialoghi: è un romanzo fatto per tre quarti di dialoghi, godibilissimi. Forse qua e là Roth avrebbe potuto sfrondare e snellire (sono quasi 800 pagine). Ma è interessante e bello scoprire che un nascente scrittore americano (aveva 29 anni, oggi ne ha 83 e ha detto che non scriverà più: peccato) esordiva con un romanzo vivido, innovatore, a modo suo spregiudicato: era il 1962, lo stesso anno (per dire), in cui in Italia Giorgio Bassani pubblicava "Il giardino dei Finzi-Contini: altra musica, come del resto nel coevo Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (1959). Scritture diversissime, entrambe forti ma totalmente differenti, provenienti da due mondi reali e narrativi lontanissimi uno dall'altro.