Circolo dei Libri

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08gennaio
2021

Andrea Fazioli e Friedrich Glauser

Casagrande

(Dalla recensione di Matteo Airaghi sul "Corriere del Ticino")

Qualche volta i più riusciti manicaretti letterari nascono dai più imprevedibili connubi di sapori. Gli ingredienti, tutti svizzeri, cucinati da Andrea Fazioli, uno dei nostri «masterchef narrativi» più apprezzati e sperimentati, si trasformano con Le vacanze di Studer, appena pubblicato da Casagrande, in una delizia per i più esigenti palati intellettuali, affamati di romanzi polizieschi (e non solo). Ma andiamo con ordine: fin dagli anni Venti del Novecento il geniale e tormentato scrittore Friedrich Glauser progetta un'avventura del suo Jakob Studer (il poliziotto bernese protagonista dei gialli «espressionisti» che lo hanno reso celebre) ambientata ad Ascona nella torrida estate del 1921. Le basi di partenza sono l'assassinio di una giovane donna nei pressi del Monte Verità e il mondo di artisti e personaggi, tanto eccentrici quanto sospetti, che gravitano intorno a quel luogo sovraccarico di utopie, significati e misteri.
Il romanzo però non viene mai concluso, il caso non trova soluzione e il colpevole rimane nell'ombra. A un secolo di distanza, con un pizzico d'incoscienza, Andrea Fazioli sollecitato dall'editore Casagrande si mette al lavoro sui caotici frammenti di quella storia lasciati da Glauser (morto improvvisamente nel lontano 1938) e li rielabora magistralmente in un piccolo capolavoro della letteratura (non solo) poliziesca che finisce addirittura per coinvolgerlo in prima persona. «Quando l'editore Casagrande mi ha proposto di proseguire un inedito di Glauser - ci spiega Fazioli - il mio primo pensiero è stato quello di darmi alla fuga. Amo e leggo Glauser fin da quando sono ragazzo... come aggiungere qualcosa a una storia con il sergente Studer? Lo stile di Glauser è molto personale, inimitabile. Ma poi, comunque: imitare? Credo che Glauser non avrebbe amato un'operazione del genere.("…) Non potevo eliminare pagine di Glauser, anche se all'apparenza contenevano delle ripetizioni, per aggiungere parole mie. La scommessa era piuttosto ("…) quella di costruire un congegno narrativo nel quale collocare tutti gli inediti. Inoltre, non mi piaceva l'idea di presentare gli inediti all'inizio e poi scrivere "da solo" fino alla fine. Se dovevo lanciarmi nell'avventura, allora dovevo cercare uno scambio continuo fra me e Glauser, in maniera che le nostre voci si mescolassero ("…). L'essenziale era lavorare come avrebbe lavorato Glauser: non scrivere un poliziesco come se fosse un indovinello, non titillare la morbosità di chi legge, ma immergermi (e immergere chi legge) nell'intimità dei personaggi, nella loro meraviglia, nei loro dolori, nelle loro domande. Glauser era come Simenon: l'importante per lui non era risolvere un omicidio, ma approfondire l'anima di un luogo, oltre a quella di un personaggio (Simenon diceva: arrivare all'homme tout nu)».
E la bravura di Fazioli va ben oltre l'utilizzo perfetto di un originale meccanismo narrativo o alla consumata dimestichezza con le più perfezionate formule di storytelling. Se qualcuno ha opportunamente definito quelli di Glauser come polizieschi «espressionisti» ecco che l'abilità dell'autore ticinese di insistere su alcuni temi ricorrenti di Glauser (la solitudine, le domande sull'identità, il desiderio di fuga, l'importanza della quotidianità, la riflessione su che cosa sia la verità) rendono questa prova un'introduzione ideale all'universo glauseriano e (di conseguenza) studeriano. Ecco un giallo con l'anima dunque, capace, su più livelli e con mille sfumature, allusioni e rimandi, di risolversi, convincendo, un secolo dopo la sua scintilla originaria. «Sicuramente, nel mio giocare a nascondino insieme a Glauser - conclude Andrea Fazioli - c'è per me un insieme di ironia, tenerezza e sperimentazione; è una tensione ludica, appunto, che mi ha spinto a inserire nella narrazione anche gli scambi di mail con la mia casa editrice e - ma non voglio dire di più - anche una pagina che ho cercato volutamente di scrivere male...». E i glauseriani si leccano i baffi.