Claudio Piersanti
Rizzoli
Giovanni è un tipo strano, tipografo nostalgico e licenziato, appassionato di caratteri di piombo e inchiostri, lasciato a casa perché ormai lavoratore inattuale, messosi in proprio e in piccolo, tirando a campare; e poi innamorato di sua moglie Giulia, con la quale ha lo stesso rapporto amoroso e trepido che ha con la stampa a mano, in una fedeltà ostinata, quasi maniacale, candida. È alto e magrissimo e lui non si piace ma ha un un suo tratto sempre gentile, di uomo buono ed eccentrico. A raccontarcelo è la scrittura sapientemente camaleontica di Claudio Piersanti, autore che ad ogni libro ci sorprende per la mutevolezza voluta di linguaggio, stile e ritmi. Ogni suo romanzo sembra scritto da un autore diverso e tuttavia in ognuno dei suoi libri si riacciuffa il filo sotteso di una costante, identificabile cura di scrittura e di una immaginazione originalissima. Piersanti ci ha conquistato in passato con romanzi molto diversi fra di loro (spiccano "Luisa e il silenzio", "Il ritorno a casa di Enrico Metz", "La forza di gravità") e questa volta ecco una vicenda a sua volta diversa, resa da una scrittura condotta con lievità, spesso intenerita e vaporosa, dall'andamento quasi fiabesco ma molto reale. Eppure dentro questa leggerezza si scoprono sottili strati sovrapposti, allusioni di profondità, intuizioni di maggiore complessità. In quanto alla storia in sé, la vicenda strana, malinconica e bella di Giovanni e Giulia si dipana dentro una trama che procede piano fino a quando l'aggraziata vita coniugale di contentezza tranquilla e condivisa si increspa ad un tratto con l'inspiegabile fuga di Giulia da casa, appena un biglietto scarno e per il resto più nulla. Che sarà successo? Tornerà? Il cruccio di Giovanni è profondo ma il bravo tipografo (che ama il lavoro antico di mani e materiali vivi) non vuole fare indagini, si limita ad attendere ma al tempo stesso rimugina, immagina. Scopre che Giulia aveva appena letto, lasciandolo sul tavolo, "Anna Karenina" di Tolstoj e lui si studia bene il romanzo per cercare qualche indizio. Imbattendosi nel bel tenente Vronskij che conquista Anna inducendola all'adulterio, Giovanni si accende di gelosa immaginazione e si figura un qualche "maledetto Vronskij" dietro la scomparsa di Giulia. Fisime sue, forse, ma trafitture vere per il cuore buono del tipografo ostinato e innamorato. Lascio ai lettori gli sviluppi della storia, aggiungo soltanto che nelle pieghe di questo romanzo affiora la complessità della vita e della natura umana: ci sono l'amore e la nostalgia, la gelosia e la letizia, la malattia e la paura della morte, la bellezza amorosa e quella del lavoro ben fatto, la dignità sociale, la passione per l'orto e i fiori, per la montagna. E l'amicizia: non eroica ma fedele, trepida (Gino e Bruna non sono persone perfette ma sono amici veri). Queste decisive componenti della vita consueta degli uomini e delle donne si manifestano senza forzature drammatiche lungo tutta la narrazione di questo romanzo che sembra quasi imbevuto dal candore d'animo e dai sentimenti fedeli di Giovanni, così tenace nell'attaccamento al lavoro buono, così come Giulia è tenacemente attaccata alla terra, alle piante, ed entrambi sono attaccati l'uno all'altra e ci confermano che nel cuore di ogni persona, a cercarlo bene, è iscritto un profondo desiderio di felicità. Poi la vita ha i suoi rovesci, il tempo intona le sue fatalità, amore e dolore, salute e malattia si mescolano come in tutte le vite. L'ingenuità caparbia di Giovanni non confligge con la sua bella pasta umana, anzi concorre a renderlo un uomo vero. Che si merita Giulia, e viceversa. Un romanzo lieve e insieme grave, una scrittura semplificata, nervosa quanto basta, allusiva e complice. In esergo c'è una bella poesia scritta appositamente dal poeta svizzero italiano Fabio Pusterla: essa parla di colori e la si comprenderà bene soltanto dopo aver terminato il romanzo.
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