Giorgio Orelli
Casagrande
Giorgio Orelli, nato cent'anni fa, morto otto anni fa, torna a Prato, la "dolce conca" del villaggio materno dove era cresciuto. Ci ritorna (ecco uno dei piccoli miracoli della letteratura) grazie alla pubblicazione postuma di alcuni racconti che lo scrittore aveva macinato per anni e anni lasciandone appena scorgere alcuni bagliori in qualche pubblicazione e per il resto tenendoli sempre per se, sul tavolo, e lavorandoci sopra in continuazione. Adesso li possiamo leggere grazie alla loro pubblicazione nel piccolo libro "Rosagarda", curato per Casagrande da Pietro De Marchi e Matteo Terzaghi, studiosi e amici di Orelli. Naturalmente Giorgio Orelli fu soprattutto poeta, di grande risalto e forza, e studioso e ricercatore letterario. In prosa, aveva pubblicato una sola sola -bella- raccolta di racconti ("Un giorno della vita", riedita qualche anno fa da Marcos y Marcos"). Questi racconti custoditi e lavorati da Orelli in vita ora prendono luce e ci fanno re-incontrare con emozione Giorgio Orelli redivivo in pagina e dentro la quieta altura di Prato (e dei suoi "pascoli estremi"). Rosagarda è il nome letterario che Orelli ha sempre dato al suo villaggio d'infanzia e giovinezza e di tutte le estati della vita (i curatori del volume ci rivelano che quel nome non è pura invenzione ma è quello vero di un pascolo che sta fra Prato e Rodi Fiesso). Anche l'alter ego dello scrittore che torna in età indefinita a Prato ha un nome, Francesco, che in effetti all'anagrafe è il secondo nome di Giorgio Orelli. È lui, il magro, alto, allampanato Giorgio-Francesco l'io narrante che si aggira dentro il tempo e lo spazio a fiutare con naso scanzonatamente proustiano le tracce di vite minime e indelebili in una "recherche" per nulla nevrotica dentro "il cerchio familiare da cui non ha senso scampare". La narrazione dei racconti si distende fluida, con un canto ininterrotto di piccole cose, piccole storie affidate a voci, invenzioni, ricordi, battute di spirito di giovani un po' goliardi (cacciatori di marmotte e di bellezze muliebri spiate nelle movenze delle domestiche dei villeggianti o scrutate col cannocchiale nel piccolo campo di nudisti sul versante opposto della valle). Nello slargo breve della piazza corrono chiacchiere e dall'alto di finestre appena socchiuse giungono gesti e sguardi lenti di donne mentre nelle "stufe" (le"stüe", i locali caldi sotto le camere delle vecchie case di legno) voci di vecchi e cauti passi nelle stanze di sopra sembrano rintocchi del tempo. Le piccole storie, con rapidi momenti anche comici, allusivi, sono infatti creatrici di una vita che restituisce e mescola tempo e luoghi. Davvero, come scrivono i curatori negli utili apparati e note, "è la vita che festeggia se stessa nel tempo ampio della memoria, dove le esperienze si confondono e i morti e i vivi, i presenti e gli assenti, possono tornare a incontrarsi". La prosa orelliana di questi racconti ha anche calchi dialettali e accenni di sperimentazione linguistica (forse qualche momento stilistico può apparire oggi anche un po' datato, con echi di lontano neo-realismo che però appartengono alla vivezza delle carte lasciate dallo scrittore). Balza all'orecchio e alla mente, nei racconti di Orelli, una evidente, musicale consonanza con la memoria della sua poesia (vi si ritrovano echi e rintocchi della sua lirica). Il filo dei racconti è fluido: i giovanotti, gli uomini, parlano molto di caccia, di piccole cose piane, gatti e donne, mucche nella stalla, fieno da tagliare, vita da vivere, desideri di lontananze, andirivieni di migranti. I vecchi ricordano, l'amico Pasquale è un filosofo rurale e affabulatore, le pagine cantano e Francesco-Giorgio si aggira nel suo paese imbattendosi in silenzi che lo rendono trasognato al confine fra l'essere e il non essere: ""…Non si vede anima viva e anche a me sembra d'esser vivo per miracolo, uno che c'è e non c "˜è. Si muove una tendina nella vecchia casa dove zio Gaetano aveva il suo laboratorio di scultore in legno. Ombra, sgomento d'un attimo, presto l'occhio mi avverte che un vetro è rotto, così che il vento scosta la tendina come una mano invisibile. Nessuno è veramente assente, e mio zio è là"…". Vengono in mente i versi di una delle indimenticate poesie di Orelli, "Nel cerchio familiare": "Entro un silenzio così conosciuto/i morti sono più vivi dei vivi ".
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