Circolo dei Libri

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14maggio
2021

J. M. Coetzee

Einaudi

J.M.Coetzee, 81 anni, scrittore sudafricano bianco che oggi vive in Australia, premio Nobel nel 2003, è vivo. E scrive ancora. Ma J.M. Coetzee nel 2009 è morto. O meglio ha provato per un po' ad essere morto per capire come lui, defunto, potrebbe essere ricordato dai posteri. Questa è l'invenzione-pretesto che J.M.Coetzee vivo (lui si chiama John Maxwell Coetzee ma i suoi libri li firma solo come J.M. Coetzee) escogita nel suo romanzo "Tempo d'estate", con il sottotitolo "Scene di vita di provincia". L'artificio letterario permette a uno studioso britannico di letteratura di imbarcarsi nella redazione di una biografia dello scrittore scomparso. Gli scritti, i diari, gli appunti lasciati da Coetzee (riprodotti nelle prime pagine del romanzo) danno delle piste ma non sono bastevoli, agli occhi del biografo, per capire la personalità vera dello scrittore. E così va a cercare alcune delle donne che tanto o poco hanno incrociato la vita di Coetzee, soprattutto quando lo scrittore era ancora relativamente giovane e non ancora celebre. Una specie di uomo qualunque. Il Coetzee vero si inventa morto per giocare a una descrizione abbastanza mordace e impietosa di se. Julia, Margot, Adriana e Sophie ma poi anche Martin, collega di Coetzee, raccontano all'intervistatore la loro percezione umana privata, psicologica dello scrittore defunto. E rivelano le sue idiosincrasie, la sua difficoltà nelle trame relazionali, una sua certa anaffettività. Rivelano il rapporto filiale, difficile, affettuoso ma anche infastidito di Coetzee con il padre vedovo (i due vivono assieme, in un rapporto abbastanza claustrale). Il lettore capisce che questa storia non è tanto la storia vera di Coetzee (il quale certamente non aveva nessuna intenzione di mettersi davvero a nudo) quanto la storia romanzata di uno scrittore. Un gioco depistante da parte di Coetzee, il quale ci vuole dire anche che in fondo la vita privata di uno scrittore può risultare ambigua nella sua stessa influenza sull'opera letteraria sua: forse vanno separate del tutto la vita privata e la produzione letteraria, o forse no. Adriana, per esempio, è lapidaria: "So che in seguito si è fatto una grossa reputazione; ma era davvero un grande scrittore? Perché per come la penso io, il talento per le parole non basta se si vuole diventare un grande scrittore. Bisogna essere anche un grande uomo. Lui era un uomo piccolo, un uomo privo di importanza". Impietosa, Adriana, ma soprattutto ferocemente auto-ironico Coetzee. Ma poi quelli che hanno conosciuto Coetzee sono inesorabilmente soggettivi: non soltanto esprimono il proprio punto di vista personale, ma poi tendono tutti anche a parlare molto di sé, deviando per piste esterne e ancor più soggettive. Il romanzo è tutto un gioco di specchi inevitabilmente un po' deformanti nei loro riflessi: lo stesso intervistatore vuole essere neutro ma parte da proprie ipotesi di lavoro. Alla fine né gli appunti di Coetzee, né le testimonianze di chi l'ha conosciuto, né tantomeno i suoi romanzi riescono a svelare chi fosse realmente lui, nel profondo di sé. Di lui passano, al filtro dei ricordi, pensieri anche singolari, profondi. Come quando Julia ricorda una discussione sull'utilità dei libri, che per lei dovevano avere a che fare con il significato della vita. E Coetzee: "Davvero lo credi? Davvero credi che i libri diano un significato alle nostre vite?" "Sì", dissi, "un libro dovrebbe essere un'accetta per rompere il ghiaccio del mare gelato dentro di noi. Che altro sennò?". Coetzee: "Un rifiuto lanciato contro il tempo. Una richiesta di immortalità". La letteratura per fermare il tempo, per non lasciarlo sprofondare: questa, forse, la poetica vera del vero Coetzee? Perle riflessive di quel tipo sono disseminate ovunque nel romanzo, che per il resto, fedele al sottotitolo "Scene di vita di provincia" dipinge con grande vivezza di scrittura una realtà sudafricana bianca di vita comune, che ha sullo sfondo la traccia della storia singolare di quel paese e del suo passato di "apartheid".