Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

13aprile
2019

Plinio Martini

Casagrande

Fra i testi che io darei da leggere ai ragazzi ticinesi d'oggi a scuola, tentando di appassionarli e non di annoiarli (spesso basta poco, basta forse soltanto che il docente stesso vi si appassioni) c'è il romanzo "Il fondo del sacco". Spesso nella tensione narrativa di una storia inventata (ma le storie inventate dagli scrittori autentici sono sempre vere) c'è più polpa di sostanza storica che non in qualche studio scientifico di analisi. Il Ticino ha naturalmente avuto una sua drammaticità di eventi politici e sociali, nella sua storia. Ma si è visto risparmiare, come il resto della Svizzera, immani catastrofi e tragedie.Non abbiamo avuto le guerre (1870, 14 -18, 39-45), non abbiamo avuto gli impeti risorgimentali e il nazifascismo in casa, la repressione e la resistenza. Abbiamo però avuto, soprattutto nelle terre più povere, un nostro dramma epico: quello dell'emigrazione forzata, che ha marchiato e mutato, con traccia indelebile, la natura culturale e civile, quasi antropologica, della nostra gente, lungo l'arco di alcune generazioni fra "˜800 e primo "˜900. La storiografia ha indagato sul "dare e avere" di quel fenomeno: abbiamo avuto correnti d'aria benefiche, sguardi aperti, ingegni stimolati ma anche strappi sociali ed esistenziali, famiglie rotte, struggimenti affettivi, nostalgie laceranti, villaggi svuotati, speranze e fallimenti, fortuna e morte

L'emigrazione ticinese in California ha avuto anche esiti di fortuna: molti hanno trovato benessere e anche un po' di ricchezza, molti hanno mandato a casa denaro prezioso, alcuni sono ritornati con qualche solidità, le valli hanno ricevuto trasfusioni di soldi ma anche di sguardi aperti e conoscenza del mondo. Ma il romanzo di Martini coglie soprattutto, di quell'emigrazione, appunto, l'aspetto più dolente, personale, sperimentato ed esistenziale, di strappo, struggimento affettivo, nostalgia. Un ragazzo valmaggese, della povera valle Bavona, Gori, vive la sua adolescenza ai tempi grami della nostra montagna, con il lavoro durissimo e non bastevole per tutti e il tarlo della dolorosa tentazione dell'emigrazione come scampo. Anche Gori finisce per partire, lasciando qui la tenerezza degli affetti (la mamma, la famiglia, l'amore per Maddalena, persino la ruvida figura autoritaria del parroco, moralmente coercitiva ma anche affettiva). Il congedo è straziante, nella consapevolezza di abbandonare un mondo poverissimo ma inestirpabile dal cuore. Dopo il ritorno in valle, molti anni più tardi, ecco l'altra, più sottile nostalgia: quella degliampi orizzonti scoperti. Gori imparerà però che il mondo lasciato quassù non si era cristallizzato in attesa del suo ritorno, il tempo aveva continuato a macinare, sono successe cose. Capirà che la giovinezza e la felicità si sono perdute fra questi opposti poli di esistenza e di sentimenti, fra questo partire e tornare, in una disperante instabilità dell'animo. "Il fondo del sacco" esce dal suo territorio angusto e assume la connotazione universale della lontananza forzata, dal bruco distacco dalle radici e dal nido affettivo. Per questa ragione i personaggi del romanzo non cessano di aggirarsi nei ricordi di chi ha letto il libro e magari si reca lassù a ricercarli. Nei silenzi antichi di una valle ancora intatta pare che si disveli di nuovo, come un segreto, la storia semplice e vera di Gori e di Maddalena.