Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

07maggio
2021

Edith Bruck

La nave di Teseo

Siamo nel 1944, in un villaggio ungherese una ragazzina di 13 anni, di famiglia ebraica, viene con tutti i suoi cari trascinata di forza via da casa. Lei e la sua famiglia e migliaia di altri ebrei vengono ammassati su un treno merci e portati nei campi di concentramento nazisti. I ragazzi vengono brutalmente strappati ai genitori, i quali andranno ben presto a morire nelle camere a gas. La bambina, Edith, comincia con la sorella maggiore una peregrinazione terribile nei campi di Auschwitz, Dachau, Birkenau, Bergen-Belsen. La sofferenza è atroce: le ragazze sono denutrite, affamate, umiliate: vedono una loro amica, antica compagna di giochi al villaggio, suicidarsi disperata gettandosi contro la recinzione elettrificata. Edith vede in azione il male: lei e gli altri prigionieri devono anche assistere da vicino alle impiccagioni di giovani compagni di prigionia, colpevoli di tentate ribellioni. Questa tragedia viene narrata, 75 anni dopo, con precisione lucida, da quella ragazzina: perché Edith quasi per miracolo alla fine ce la fa a scampare con la sorella. Per Edith è dura ricominciare a vivere con dignità e pienezza dopo quella terribile esperienza: viaggerà in molti paesi e finalmente trova in Italia una nuova patria anche perché lì incontra il poeta (e regista) Nelo Risi, che sarà il grande amore della sua vita. I due si sposano e vivranno assieme il resto delle loro due esistenze. Risi muore nel 2015, malato di Alzheimer, e la moglie l'ha accudito personalmente sino alla fine. Edith oggi ha 90 anni e vive a Roma. Nel frattempo e nel corso dei decenni è diventata scrittrice in lingua italiana, autrice di parecchi romanzi. Ora ha deciso di scrivere questo libro per dire un'altra volta meglio e fino in fondo quel che ha già detto molte volte e perché vuole obbedire alla esortazione che un ebreo morente (mentre lei ragazza era costretta a trasportare cadaveri di prigionieri e ammonticchiarli per farli bruciare, ma alcuni detenuti erano ancora flebilmente in vita!) le aveva mormorato: "Racconta. Non ci crederanno, racconta, se sopravvivi, anche per noi". Poche settimane fa a Edith Bruck è successa una cosa che l'ha commossa. Il Papa aveva letto il suo libro e ne era stato colpito. E così, saputo che la Bruck vive a Roma, Papa Francesco decide improvvisamente di farle visita, senza ufficialità. Telefona ad annunciare il suo arrivo, si fa portare con discrezione nella via dove la scrittrice abita, sale, Edith Bruck apre la porta e dirà poi che quando il Papa le ha preso le mani (i due sono vaccinati, niente mascherine"…) si è messa a piangere, e più volte durante il lungo colloquio nel salotto di casa lei ha pianto ancora. Perché il Papa le ha manifestato la propria emozione solidale, le ha fatto domande trepide e ha voluto in particolare che gli raccontasse bene alcuni episodi che nel libro Bruck chiama "le piccole luci", i pochissimi spiragli di bontà dentro la voragine del male (come quando un soldato tedesco lancia, a lei affamata e denutrita, una gavetta ordinandole di lavargliela ma dentro le ha lasciato uno strato di marmellata, per aiutarla). Il Papa, settant'anni dopo, ha voluto sentirsi ripetere quegli episodi che riescono a non cancellare del tutto la speranza dell'uomo, il desiderio di bene. Un libro, quello di Edith Bruck, che deve essere letto, così come deve essere letto il bellissimo e tremendo piccolo libro "La notte", in cui il premio Nobel Elie Wiesel racconta la propria esperienza di quindicenne ad Auschwitz, unico scampato di tutta la sua famiglia. La testimonianza di chi c'era e ha visto (ed è ancora vivo come Bruck, oppure già morto come Wiesel: ma la scrittura non muore, rimane), è per noi un dovere: civile e morale prima che letterario.