Circolo dei Libri

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06settembre
2019

Pedro Lenz

Gabriele Capelli editore

Un libro un po' romantico senza sbavature, un po' alcolico senza cattiveria, stravagante, che racconta di persone sempre un po' ai margini dei meccanismi ben oliati di benessere e successo. Dalle parti di Olten, nelle periferie del canton Berna. Gente che fa fatica ma ha ambizioni grandi in campo artistico.È il secondo romanzo di Pedro Lenz, il quale scrive i suoi libri in "berndütsch", il dialetto-lingua della sua regione eaveva nove anni fa sorpreso il mondo letterario elvetico con un primo romanzo spigliato, fresco, divertente, con qualche malinconia ben dosata: "In porta c'ero io" (Capelli editore). In "La bella Fanny" (sempre edito in italiano da Capelli, tradotto da Amalia Urbano) il protagonista è un giovanotto che ha passato di poco la trentina, si definisce scrittore ma insomma di finito e compiuto a dire il vero non ha ancora scritto nulla. Però ci crede e si dà da fare, fra slanci e pigrizia. Gli danno fiducia solidale alcuni, pochi amici, soprattutto un paio di artisti pittori sulla settantina, tenacemente legati una vocazione che ha dato loro molta speranza, qualche labile successo ma soprattutto poche risorse finanziarie. Ma anche loro ci credono. Poi compare la bella Fanny, una giovane donna davvero molto, molto bella, intorno alla quale lo scrittore in divenire (innamorato cotto) e gli artisti attempati (abbastanza presi anche loro), ronzano come falene attorno a una lampada accesa. Pochi protagonisti, dunque, abbastanza sfaccendati e strani, intorno alla luce della bella Fanny, la quale è poco acciuffabile ma quando c'è si fa sentire, in tutti e cinque i sensi. I maschi sono, come s'è detto, un po' marginali, con un piede nell'indigenza decorosa e un altro nell'ambizione di lasciare un segno, un guizzo di verità artistica. Fra lo scrittore che non scrive ma forse scriverà e gli artisti che hanno molto dipinto con molta fatica ( se hanno talento, esso è abbastanza misconosciuto) scoppietta e anzi arde come un fuoco un'amicizia che dura, con ironia sdrammatizzante e affetto profondo. Forse la vera protagonista di questo romanzo è proprio l'amicizia, più ancora che l'amore il quale, si sa, è sempre un po' complicato, ineffabile e spesso sfuggente. Il linguaggio del romanzo è acqua viva della parlata discorsiva dialettale, una simpatia gergale di dialoghi e bevute e chiacchierate infinite in atelier, caffè e appartamenti, e struggimenti d'amore e gelosie patetiche e forse inutili. C'è la freschezza goffa di un grande innamoramento maldestro e un po' doloroso, come tutti gli innamoramenti dei giovanotti buoni, imprecisi, dotati e svagati. Simpatici. I suoi avversari in amore, acciaccati dagli anni, non lo sono poi davvero ma sono soprattutto amici. E Fanny è da adorare ma anche imprendibile, da non possedere: come molti amori, come l'espressione artistica, cui si può fare la corte con tenacia e fedeltà per tutta la vita. Un romanzo arioso, che racconta la compagnia di giro di tipi un po' squinternati ma pieni di empatia.