Circolo dei Libri

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13novembre
2010

Marta Morazzoni

Ed. Longanesi (Narrativa straniera)

Che fa una scrittrice intelligente se vuole raccontare la storia di una ragazzina tredicenne monacata per forza nel "˜700 dalla famiglia? Giudiziosamente osserverà, come fa Marta Morazzoni dopo dieci pagine del suo nuovo romanz "In quanti, a questo punto, staranno pensando che mi aleggia attorno un tale illustre precedente, che farei meglio a demordere per evitare un confronto a me fatale! Ma ho il vantaggio di sentirmi tanto al disotto del termine di paragone, da non avere remore a espormi. Come dire? perso per perso, tant'è giocare la partita fino in fondo". Smarcatasi così elegantemente dal Manzoni e dalla sua ingombrante monaca di Monza e precisato che la sua storia avrà un'altra evoluzione, Marta Morazzoni (autrice di notevoli e raffinati romanzi sin dal suo esordio nel 1986 con "La ragazza col turbante") può distendersi nella sua narrazione. Che parte da un personaggio davvero esistito, la contessina milanese Paola Pietra, rimasta orfana di padre e spedita da questi e dalla matrigna a seppellirsi in convento senza nessuna avvisaglia di vocazione. Diciamo subito che a diciassette anni suor Paola, provvista di una voce eccezionale da soprano che seduce e ammalia (lei invisibile dietro la grata) i fedeli alle funzioni, sentirà il palpito naturale della vita di fuori, trafugato dentro la navata dalle vaghe fattezze e soprattutto dall'odore di tabacco e di mistero di un diplomatico suddito di Sua Maestà britannica in missione presso l'Arciduca asburgico. Il resto è piacere del lettore: perché la narrazione incalza con un seguito di fughe e spionaggi, colpi di scena e misteri, in un continuo trambusto e con cambi di fondali (Milano, Venezia, il mare aperto, la Francia, l'Inghilterra, Roma"…). Marta Morazzoni è brava, corteggia la prosa raffinata delle sue vicende del "˜700 con una seduzione contemporanea che compie incursioni sottili nei grovigli lontani della storia. In un frangente delicato, avverte: "non è un momento facile, né per il narratore né per i narrati". Quando una giovane coppia attua un convegno d'amore in un alberghetto, ci sussurra: "Siamo entrati a cose fatte nella camera al primo piano, ed è meglio così. Per quanto invisibile, l'occhio di un narratore avrebbe tolto la naturalezza assoluta all'assoluta solitudine cui i due avevano diritto, poiché stavano facendo un passo davvero grande e pericoloso." E di fronte a un'ipotesi di coincidenza affascinante ma un po' troppo studiata, presenta la cosa come ipotesi poco probabile e la colloca fra quelle che "disarcionano la letteratura dalla vita". Oltre a ciò, Morazzoni imprime alla sua storia una spettacolarità avventurosa che talvolta ricorda, ma in un modo più fine dettato dal presente, un'aria ottocentesca alla Dumas, e non è cosa da poco. La tentazione del feuilleton monastico- morboso (la casistica letteraria anche recente annota esempi abbondanti) viene totalmente sventata da Marta Morazzoni grazie alla sua scrittura sensibile e soprattutto a una tensione dopotutto morale che condanna le vocazioni forzate del passato valorizzando di fatto quelle autentiche di ogni tempo.