Circolo dei Libri

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25marzo
2022

Luciano Bianciardi

Feltrinelli

Era uscito nel 1962 il breve e dirompente romanzo urticante e ribellistico di Luciano Bianciardi, scrittore e traduttore tormentato e inquieto, dalla vita breve (morì a 49 anni nel 1971, cade quest'anno il centenario della nascita nel 1922). Fu, quel libro, come un petardo lanciato dentro l'apparentemente quieto mondo letterario italiano. La "vita agra" è quella del protagonista narrante (con fortissima vena autobiografica), un affannato scrittore-giornalista-traduttore scaraventato dentro una Milano che sta diventando convulsa, nevrotica. È la stagione del boom economico, della nuova televisione e delle nuove "macchine" (automobili, lavatrici, meccanizzazioni varie), dell'industrializzazione veloce e del consumismo arrembante e compulsivo. L'"Io" del romanzo trasuda disadattamento e rabbia dentro questo mondo nervoso e cinico che lui ricambia con una critica feroce, anticipatrice delle turbolenze sociali, politiche e culturali del Sessantotto, che arriverà come fenomeno qualche anno dopo. Seppure nella immaginazione vistosa della narrazione, il romanzo di Bianciardi può essere inteso come un "pamphlet" amaro, disilluso, rabbioso, ironico contro la società "dei consumi e del profitto". Più anarchico che marxista puro, Bianciardi non fa sconto a nessuno, neppure al mondo editoriale che lo scrittore conosce molto bene e dove, come scrisse il critico Geno Pampaloni, "la cultura è mercificata, resa inerte, e posta in vendita adulterata dal sussiego delle mode sempre nuove". E c'è la delusione arrabbiata di fronte alla deriva formalistica dei partiti politici, ridotti a frasi fatte, a linguaggi di casta. C'è un risentimento ribellistico, c'è una insofferenza culturale e anche esistenziale che sembrano proprio incubare i germi che nel Sessantotto, appunto, sbocceranno in azioni e rivolgimenti forti. In questo senso il romanzo di Bianciardi ebbe una forza di prefigurazione, con il merito di cogliere un aspetto complesso e disordinato della contemporaneità di fronte a mutazioni sociali enormi e velocizzate. Sullo sfondo civile e pubblico il protagonista arrabbiato e abbastanza infelice iscrive poi anche la sua trama sentimentale e libertaria. Riletto oggi, il romanzo di Bianciardi mantiene una ribalda forza iconoclastica, che se allora appariva conturbante, in parte condivisibile e peraltro anche esagerata, volutamente forzata, oggi invece appare un po' datata. Il pregio che rimane è soprattutto quello stilistico: Bianciardi, forte traduttore dall'inglese, si imbeve di narrativa americana e ne introita ritmi ed essenzialità, con una commistione fra ironia amara e drammatica critica sociale. L'"Io narrante" si riferisce anche all'esperienza personale vissuta in Maremma (lui era di Grosseto) quando si occupò di una catastrofe mineraria (con moltissime vittime) avvenuta in quella regione, dovuta all'incuria avida dei padroni della miniera (Bianciardi e Carlo Cassola indagarono con passione e indignazione su quell'evento, in un loro studio). Per quella sciagura il protagonista del romanzo sogna addirittura la vendetta di far saltare in aria il "torracchione" in cui hanno sede gli uffici della direzione delle miniere. A parte quella reminiscenza maremmana, tutto è milanese, dentro la convulsa e nevrotica crescita socio-economica il cui sviluppo anche positivo di benessere Bianciardi ha deciso di ignorare, per puntare invece la sua scrittura nervosa contro gli effetti negativi e alienanti (che pure ci sono). Certo, fa effetto pensare che nello stesso anno in cui uscì "La vita agra", il 1962, era stato pubblicato anche "Il giardino dei Finzi-Contini" di Giorgio Bassani: due mondi totalmente diversi, inconciliabili sia in quanto a tema, ambientazione e temperamento civile, sia soprattutto in quanto ad approccio stilistico, a forma letteraria. Osando un giudizio, si può dire che se "Il giardino dei Finzi-Contini" è uno dei maggiori romanzi italiani del "˜900, "La vita agra" è un breve romanzo "minore" ma dignitosissimo, intrigante e coraggioso, quasi morbosamente agitato, una provocazione socio-culturale raccontata con prosa anche innovatrice.