Circolo dei Libri

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31ottobre
2009

Elisabeth Strout

Ed. Fazi (Narrativa straniera)

Ha vinto il premio Pulitzwer, Elisabeth Strout, e mi pare proprio che lo abbia meritato con questo "Olive Kitteridge" che possiede almeno tre punti di forza narrativa. Il primo è quello della struttura del romanzo, che riesce a mettere insieme l'episodicità intensa di racconti separati e il filo unitario che collega e impasta quei brani. Il secondo punto sta nella capacità di narrare attraverso la rapidità precisa di annotazioni - distribuite, insinuate, appena abbozzate oppure evidenziate - di caratteri, luci, atmosfere. Infine il terzo punto notevole sta nella sapiente amministrazione dei tempi, del temp ogni avvenimento, ogni desiderio o ferita si iscrivono dentro la mutazione lenta ma inesorabile del tempo che passa e che muta e amalgama i sentimenti e i ricordi. Rivediamo in sintesi questi punti. La struttura narrativa del romanzo si sviluppa attorno a un personaggio, Olive Kitteridge, una insegnante di media età, sposata, ripresa comunque anche in alcuni prima e dopo, lungo il filo degli anni. Ma al tempo stesso Strout racconta altre storie di altri personaggi uniti tra di loro spesso soltanto dalla unità di luogo, una cittadina di provincia del Maine, in una America profonda e introversa, come scollegata dal mondo. Talvolta poi, ma non sempre, le varie vicende si intrecciano, poco o tanto. L'espediente serve a conferire a questo libro sia la solidità continuativa del romanzo classico (una storia strutturata che si distende da un inizio a una fine) sia la condensata tensione narrativa del racconto più breve, tenuto a concentrare in modo più stretto il tessuto narrativo. Olive Kitteridge, ora come protagonista, a tutto tondo, ora come marginale figura, assicura alle storie, alla storia la veridicità, seppure immaginata, dei fatti narrati dentro uno spazio e un tempo, dentro un paesaggio riconoscibile e nel divenire di giorni, mesi, anni. In quanto allo stile, colpisce l'intensità ben limata e armonizzata delle informazioni quasi impressioniste: poche pennellate di parole, ambienti, sentimenti, colpi di vento e colori di stagione. La stoffa narrativa è quella inconfondibile della nuova narrativa americana (ma poi non tanto nuova: si potrebbe risalire a molti maestri) senza le artificiosità tormentate di certa narrativa statunitense cosiddetta minimalista e di fatto molto "politicamente corretta". A ciò si aggiunga, infine, che Elisabeth Strout spalma i suoi eventi dentro la cadenza inesorabile, dolce e struggente del tempo, con le sue soste, le sue accelerazioni, i suoi rimpianti. Come l'acqua dei fiumi fa sui ciottoli, il tempo, nel giro non di millenni ma di mesi e pochi anni, leviga le vite, le passioni, le delusioni. Un certo limite del romanzo sta in una persistente tristezza di fondo delle vicende, in una declinazione dolente e disillusa dei fatti. Il soffio della speranza e della bellezza intravista è proprio soltanto un soffio, come se l'autrice si fosse proibita altro. Intrigato da questo singolare romanzo, sono andato a cercare quello precedente ("Amy e Isabel", Fazi editore) e l'ho trovato più bello.