Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

26gennaio
2014

Pietro De Marchi

Casagrande

La raccolta non ha una unità narrativa e questa frammentazione alla fine va a comporre un affresco che converge sul battito dell'uomo di oggi, il quale sa che quello da cui viene (radici affettive, giorni, esperienza) nutre la responsabilità del presente. In quanto al primo racconto, annoto una riflessione. Una frase di uno storico inglese ("Per il solo fatto che da bambini si mangiava cibo cattivo, non è detto che non se ne possa aver nostalgia") viene usata da De Marchi per far dire al padre: "Non si può impedire a qualcuno di avere nostalgia della sua giovinezza solo perché allora c'erano, per esempio, la monarchia e il fascismo". E lo scrittore aggiunge: "nessuno sceglie quando nascere, né dove, e chi viene al mondo in un'epoca meno infelice o in un posto più fortunato non dovrebbe sentirsi autorizzato a trinciar giudizi se prima non si è informato bene sul come e il perché". Una bella lezione di ascolto onesto della realtà e del tempo. In un altro racconto l'autore ricorda un recente soggiorno a Davos, dentro un vecchio albergo dove verso il crepuscolo giovani abbronzati e vitali rientrano dalle sciate e ora bevono birra e fanno musica forte, in un frastuono di gioventù appagata. Lo scrittore sta leggendo un libro americano (How to be alone) e si chiede, appunto: "Come stare soli in mezzo a questa bolgia? E' semplicissimo: basta avere un libro in mano e trent'anni più di loro". Si cambia, nel tempo, per fortuna. I racconti che prediligo fra gli altri per sobria perfezione sono due. Uno è il diario parigino, pieno "di panchine e di caffè, di libri e di nuvole, di musei e di cimiteri, di luoghi divenuti cari e di una donna che non c'era quasi mai eppure c'era sempre". Il secondo parla di un viaggio in treno, da Milano a Flüelen, e lì avviene un colloquio tipicamente ferroviario (improvvisato, con uno sconosciuto, come già si leggeva in Tolstoj, in Cecov"…) in cui un viaggiatore che non si rivedrà mai più racconta uno suo struggimento amoroso che l'ha segnato per la vita. Da annotare, infine, anche la constatazione, da parte di questo scrittore e letterato milanese trapiantato in Svizzera da oltre trent'anni, di una sua integrazione piena e tuttavia anche di un velo dato dal cambio di lingua e cultura: era cresciuto ascoltando alla RAI "l'avviso ai naviganti" con le previsioni di mari mossi, e ora da decenni sente dire dalla RSI che "è in vigore il divieto assoluto di accendere fuochi all'aperto". Questi racconti sono qualcosa di sospeso (e finemente avvolgente) fra diario, memoria, riflessione, finzione narrativa. Un genere singolare e bello, sorretto da una scrittura volutamente lieve, matura e sicura.