Circolo dei Libri

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Sette anni di felicità

01agosto
2015

Etgar Keret

Feltrinelli

"Se un razzo ci può cascare in testa in qualsiasi momento, che senso ha mettersi a lavare i piatti?". Con humor tipicamente ebraico Etgar Keret, scrittore israeliano, evoca il paradosso di una vita quotidiana, la sua e quella di altri otto milioni di israeliani, che vivono la doppia condizione di normalità (i piatti da lavare, appunto, i piaceri e i problemi, i dubbi e i fastidi) e di perenne allarme di fronte alla minaccia di un missile che potrebbe giungere sulla propria testa lanciato dai guerriglieri di Hamas. Un modo divertito per esorcizzare una paura e renderla, in qualche modo, vivibile. Etgar Keret ha 48 anni, è noto e popolare come scrittore ma anche come regista cinematografico e televisivo ( nel 2007 il suo lungometraggio "Meduse" fu premiato a Cannes con il "Caméra d'Or"). In questo suo ultimo libro, appena tradotto da Feltrinelli, Keret racconta in una serie di quadri autobiografici (ma il reale e la finzione, in letteratura, sono categorie di impalpabile definizione ) storie di vita ordinaria ed eccentriche nell'Israele d'oggi. Quel paradosso dei piatti da non stare a lavare viene applicato davvero: lo scrittore, di fronte all'acuirsi di una delle molte crisi arabo-israeliane con escalation di attentati, ritorsioni e venti sinistri di guerra dice alla moglie di lasciar stare le stoviglie, perché fare fatica inutile? E così succede che la guerra non scoppia e dopo una settimana la cucina fa schifo. Gli ultimi sette anni (che danno il titolo al libro) della vita del protagonista-scrittore sono stati abbastanza agitati. Intanto lui e sua moglie Shira hanno avuto un bambino, Lev, proprio quando avveniva un attentato terroristico a Tel Aviv. Poi il padre si è ammalato gravemente di un male diagnosticato come incurabile e fulminante, anche se poi l'attivissimo e orgoglioso genitore rifiuta ogni cura e dice che lui non si fa mettere via così da una qualsiasi malattia e se ne va via dall'ospedale in taxi per tornare a casa a vivere e a provare a guarire da solo. Poi Etgar si porta dentro alcuni incubi notturni, come quello del presidente iraniano Ahmadinejad che scaglia terribili minacce antisemite. Inoltre deve fare i conti con una suadente piovra femminile di un call center che lo tormenta senza tregua per proporgli meraviglie di televendite. E via di seguito, fra grandi tragedie nell'aria e piccoli pasticci privati. Etgar Keret "˜e un umorista che fa sul serio, è uno scrittore comico che nell'ironia mette scaglie di verità spesso per nulla da ridere. La sua scrittura è brillante, intelligente, spiccia. Non ha toro il risvolto di copertina quando in una sintesi dice, di questo libro, che è un "concentrato di vita, humor e emozione". Uno poi alla fine capisce magari di più la condizione sospesa e tesa di chi vive in Israele leggendo queste prose umoristiche e ficcanti che non in certi reportages sociologici e politici. E poi certi piccoli vizi del vivere che il libro evoca in modo eccentrico appartengono anche a noi. Mi sono ritrovato, per esempio, nel dramma di chi promette di fare cose con leggerezza (tanto non è per subito, poi la scadenza arriva, inesorabile"…): "Quando si tratta di prendere un impegno, c'è una correlazione diretta, inversa, tra la prossimità della richiesta in termini di tempo e la mia propensione a impegnarmi. Così, per esempio, oggi potrei respingere educatamente l'umile richiesta di mia moglie di prepararle ina tazza di te, mentre accetterò generosamente di andare a far la spesa domani. Non ho problemi a dire che sarò ben volentieri disponibile, tra un mese, ad aiutare un lontano parente a traslocare; e se dicessimo non "˜tra un mese' ma "˜tra sei', sarei anche pronto ad affrontare, nudo, un orso polare. Il fatto è che il tempo continua ad avanzare e alla fine, quando sei là che tremi di freddo nella tundra artica gelata davanti a un orso bianco che ti mostra le zanne, non puoi fare a meno di chiederti se non sarebbe stato meglio dire semplicemente di no sei mesi prima".