ALICE MUNRO, LA SIGNORA DEL RACCONTO
2013
Qualche volta l'Accademia di Stoccolma ci azzecca. Molte volte invece no. Così giovedì sul mezzogiorno sono stato molto contento di udire che stavolta i signori del nord l'hanno indovinata. Hanno premiato una delle più valide scrittrici (e scrittori, naturalmente) viventi, la canadese Alice Munro, 82 anni, la quale mesi fa aveva annunciato che non avrebbe più scritto nulla: "basta così", disse. E come, se basta. Alice Munro non ha mai scritto romanzi, solo lunghi racconti. Densi, molto spesso dolenti, gravidi di vita vera presa con mirabile sensibilità (e anche con un certo pessimismo legato all'ineluttabilità della condizione umana) dalla realtà quotidiana. Nei suoi racconti gioca con il tempo e con la memoria, ci racconta esistenze di cui riesce a darci palpiti verissimi colti in stagioni diverse tra di loro, così che ogni storia assume anche il rapsodico andamento del vivere. Molti i titoli delle sue raccolte, in Italia tradotte da Einaudi e in un Meridiano Mondadori. Sono brandelli di esistenze abbastanza logorate (dalla vita, dal tempo, appunto) ritratte dentro realtà urbane periferiche, paesaggi e campagne, caseggiati, agglomerati, città piene di luci serali e malinconia, cene sotto la lampada accesa e sotto l'incalzare delle delusioni, delle incomprensioni, delle ferite del tempo"… Spesso appaiono figure intense di donne, quasi tutte turbate da uno scontento, da una memoria di occasioni sciupate, da difficili rapporti affettivi e familiari. Non è tanto allegra, la Munro, l'avrete capito. Ma è intensa, precisa nello strappare alla vita vera riverberi che, se narrati con rigore e forza di scrittura, diventano letteratura. Pietro Citati ha scritto: "All'improvviso Alice Munro apre uno spiraglio bianco in un racconto. In quel bianco trascorrono anni, decenni: un abisso allontana il presente e il passato; il tempo passa senza che nessuno se ne accorga; e noi avvertiamo, al tempo stesso, il senso della continuità e quello della lacerazione che formano il tessuto diseguale della nostra vita." Alice Munro è davvero una maestra di scrittura. Sa raccontare la sommessa sinfonia del quotidiano con ritmi allusivi e con una traccia di sentimenti mai sforzata ma accennata, quasi registrata come si registra un'atmosfera, un odore nell'aria. La Munro sa che la natura umana è complessa e le trame che essa inscena sono spesso aspre, dolorose. Per fortuna talvolta lei condisce questa incupita condizione del vivere con sguardi di tenerezza, lampi di compassione. Un'altra caratteristica del nuovo premio Nobel è quella di raccontarci le sue storie con delle allusioni, con bruschi cambiamenti di tempo, di ritmo, con svolte improvvise. Alla fine nei suoi lunghi racconti c'è comunque il respiro del desiderio di una vita possibilmente un po' felice. Ma la vita andrebbe afferrata. Carla, per esempio, la protagonista del racconto "In fuga", scappa di casa "nella speranza di ritrovare se stessa. Senza nessuno che le alitasse sul collo, senza che i malumori degli altri la contagiassero di infelicità. Ma che cosa le sarebbe stato a cuore? Come avrebbe saputo di essere viva?".
Oso un rilievo critico: forse alla fine dopo aver letto tutti questi suoi racconti abbastanza incupiti anche se scritti benissimo (in qualche modo anche sempre uguali) viene quasi voglia di cambiare aria"… Ma lei resta una grande scrittrice.
Se devo consigliare alcuni dei suoi libri, per cominciare a conoscerla, io scelgo "Nemico, amico, amante", "In fuga", "Il percorso dell'amore".
MICHELE FAZIOLI
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