2016
Scrittura di carne, incisa nel legno di un ruvido vitalismo, dialoghi scattanti e serrati e improvvise pause di luci e scorci, quasi sequenze di un film di John Ford, "taglio americano" diretto ma con incursioni calde e buone, nel vino nostalgia di scaglie di vita vera, di una donna... Si potrebbe andare avanti a lungo a illustrare la fisicità sensitiva e lo struggimento del dettaglio nella scrittura di Ernest Hemingway.
Hemingway mi soggiogò quand'ero ragazzo, forse anche perché un insegnante avveduto me lo aveva fatto amare ma poi anche perché il suo machismo malinconico, la sua smania d'avventure acri ed esotiche e i ritmi nuovi della sua prosa diretta appagavano l'inquietudine desiderosa della nostra età. Ebbi altre conferme anni dopo (poi, naturalmente nella vita si prendono anche altre piste, nei libri e in tante cose). Ma il vecchio, caro H. resta un amico forte. Non si può negargli il nitore di una prosa originalissima e nuova, di una sobrietà scarna scandita da una musicalità, da un impressionismo di luci, odori, piogge, bevute. E ritmo: un ritmo spesso quasi sincopato, da blues, da ballata dolcemente ossessiva. (m.f.)
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