Emma Bovary fa sempre discutere
2019
Abbiamo lavorato, nei nostri Circoli di lettura, su "Emma Bovary" di Gustave Flaubert. Tutti pieni di ammirazione per la forza stilistica, l'architettura strutturale, i ritmi e i contrappunti espressivi del romanzo e per la capacità di inscenare, da parte di Flaubert, il brodo di cottura della mediocrità e della grettezza intellettuale della borghesia provinciale in cui si disegnano l'insoddisfazione, il mal di vivere, i sogni sbagliati, i drammi e la tragedia di Emma. Dopodiché, parecchie sono state le reazioni anche un po' infastidite, o turbate, o deluse. Flaubert non perdona nulla, nulla concede di almeno vagamente positivo ai suoi personaggi. Nessun spiraglio in cui intravedere un guizzo di felicità, nessuna via di scampo, anche minima, di redenzione. E il naturalismo letterario, di cui Flaubert fu di fatto il formidabile capostipite, talvolta rischia di soffocare la "leggerezza calviniana" che dovrebbe abitare sempre, come un soffio, dentro l'aura di un romanzo. Come dire: un capolavoro, d'accordo. Ma al lettore di oggi l'accanimento vistoso della abnegazione flaubertiana per la scrittura e della ricerca ossessiva della forma perfetta, unito alla cupezza disillusa dell'implicito giudizio morale e sociale, può risultare - che i critici alti e alati ci perdonino - un po' pesante.
Illustrazione: Loris Corinth (1858-1925), Ragazza che legge
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