2024
Per una volta ci ricolleghiamo direttamente all’attività dei nostri incontri dei Circoli di lettura. Lunedì e martedì 4 e 5 novembre scorsi abbiamo lavorato su due romanzi brevi di Lev Tolstoj: entrambi incentrati sulla realtà complessa, quieta o drammatica, dei rapporti coniugali di coppia, essi sono tuttavia diversissimi fra loro, quasi fossero stati scritti da due autori differenti e non dallo stesso e unico scrittore, il grande e inquieto Tolstoj. Distanziati nel tempo (“Felicità familiare” è del 1856,“Sonata Kreutzer” è del 1889) i due romanzi sono quasi diametralmente opposti per contrasto di drammaticità, contesto e stile, e tuttavia posseggono, a ben vedere, anche alcuni punti di raccordo e di consonanze. Per tutti coloro i quali amano Tolstoj e volessero leggere o rileggere queste sue due opere e per chi ha partecipato ai nostri incontri, crediamo di fare cosa utile pubblicare qui di seguito un commento interessante e approfondito che una nostra fedele partecipante e forte lettrice (Francesca Battistella, redattrice culturale) ci ha inviato.
La sonata a Kreutzer
Compito non facile commentare questo racconto lungo di Tolstoj nato - a quanto ho letto nella bella e lunga introduzione di Serena Vitale a Felicità familiare - da una precedente novella incompiuta L’assassino di sua moglie e da una sfida con altri due ospiti presenti a una serata in casa Tolstoj nel corso della quale venne eseguita la famosa Sonata di Beethoven. Ho letto parte del racconto ascoltandola e devo dire che - non sono certo un’esperta di musica! - ha passaggi che disturbano, un ritmo spezzato, come degli inciampi nello scorrere delle note. Posso capire come Tolstoj e il protagonista del racconto ne fossero disturbati e come abbia potuto spingere l’autore a scrivere una storia come questa.
Tolstoj scrive la novella a ridosso di anni avvolti in una personale crisi religiosa (non basta fare il bene, bisogna rinunciare al male). Qui, per bocca del protagonista, esprime un assolutismo e un’intransigenza sgradevoli che per noi, appartenenti a questo secolo - ma anche nel 1889 la novella fu causa di scandalo, sebbene per altri motivi - possono risultare al limite del ridicolo e dell’assurdo. Eppure, a pensarci bene, molte delle affermazioni del protagonista - la lotta per la supremazia in una coppia, la mercificazione del matrimonio, l’idea che la donna sia proprietà dell’uomo, il ricatto attuato attraverso i figli - trovano riscontro anche nella nostra società, se non in generale, di sicuro in alcuni casi specifici. Non si spiegherebbero altrimenti i numerosi ‘femminicidi’ (parola orrenda, ma tant’è) ai quali assistiamo ogni giorno.
Per il protagonista è inconcepibile che accanto a un amore fisico ne esista uno spirituale, quello che permette a una coppia di ritrovarsi, amarsi e comprendersi quando il primo tipo di amore si attenua o svanisce. Impossibile per lui accettare che esista un’unione coniugale fatta di ricordi e pensieri condivisi, di tenerezza, di consuetudini, qualcosa capace di durare per tutta la vita. Tutto è sensualità e dunque corruzione. Ma senza sensualità non ci sarebbe riproduzione della specie e se il progetto di Dio è quello di permettere all’umanità di raggiungere il bene, allora, per quanto repellente e corrotta, la sensualità è necessaria. Delle due, una: o il genere umano raggiungerà infine, e dopo molte generazioni, la purezza o si estinguerà!
E neppure la fedeltà all’interno del matrimonio, a questo punto, lo riscatta. Vero, il loro matrimonio dura solo pochi anni e nessuno dei due sembra intenzionato a fare qualcosa per renderlo migliore di quello che è. Anzi, pare che i coniugi quasi si divertano in un gioco al massacro così pesante che è destinato a sfociare nel delitto finale, e non abbiano un’altra modalità di rapporto se non quella fisica - le riappacificazioni - per relazionarsi fra loro.
L’intransigenza di quest’uomo, le sue esternazioni assolutiste, di fronte al compagno di viaggio, sul matrimonio (due galeotti legati alla stessa catena), le teorie sulle colpe delle donne (più pericolose del gioco d’azzardo, impure, ossessionate, isteriche, tanto da finire nelle mani di Charcot!), hanno tutta l’aria di un pretesto per giustificare le sue azioni seguenti. Tolstoj, immagino, non poteva costruire in modo diverso il suo personaggio avendo chiaro in mente fin dall’inizio lo svolgimento della trama e il suo finale: siamo di fronte a un geloso patologico, incapace di controllare i propri impulsi, disposto a gettare ogni colpa o sulla società corrotta e lasciva, che permette l’esibizione delle ragazze da sposare come ‘vacche al mercato’, o sulla propria moglie di cui, comunque, lui si ritiene proprietario.
“Spaventoso era il fatto di dovermi riconoscere un diritto indiscutibile sul corpo di mia moglie, come se fosse il mio stesso corpo, mentre sentivo che, quel corpo, io non lo potevo possedere, che non era mio, ch’ella ne poteva fare quanto le piaceva…” (leggo da una vecchissima edizione di mia mamma).
È un masochista che ama infliggersi sofferenza immaginando ciò che non esiste fino al finale: un terribile crescendo di paranoia che sfocia nell’omicidio. E qui, per me, il protagonista sembra davvero Raskolnikov di Delitto e castigo giustificando chi sostiene che questo sia il racconto più dostoevskiano di Tolstoj.
Quello che mi ha colpita - e torno al tema degli attuali delitti contro le donne - è che le spiegazioni conclusive, le giustificazioni offerte per il suo gesto estremo, il suo egoistico dolore e la successiva presa di coscienza per il delitto commesso, sembrano l’eco perfetta - in anticipo di quasi 150 anni - delle dichiarazioni rilasciate da mariti e compagni di donne da loro uccise. Inclusi la calma dopo il fattaccio, il sonno repentino che li afferra, il distacco con cui narrano l’evento all’arrivo della polizia.
Ancora una volta - non ricordo più quale psicoanalista ebbe modo di dirlo - bisognerebbe leggere i grandi della letteratura perché sono loro ad arrivare per primi a disegnare alla perfezione il profilo psicologico di certi individui.
In quanto all’ambientazione, ho immaginato che la narrazione si svolgesse su un treno in movimento perché in fondo così è la vita e così avanza il progresso - parola abusata e talvolta discutibile -, in velocità; così mutano le idee e le credenze, così avanzano e cambiano le teorie, come cambia e muta il paesaggio esterno. Nel vagone, un’umanità che abbraccia diversi ceti sociali, ciascuno con le sue idee, nuove o vecchie che siano.
Felicità familiare (Garzanti)
Dalla notte al giorno. Così ci si sente a passare dalla lettura della Sonata a questa Felicità familiare del 1859.
Eppure, per me, le due novelle dialogano. Vi sono temi che ritornano come quello, ad esempio, della ‘proprietà sul corpo dell’altro’ (p. 85): “…quando, entrando a un ballo tutti gli sguardi si posavano su di me, mentre lui - come avesse delle remore a confessare al mondo che ero di sua proprietà - si affrettava a lasciarmi sola.” O nell’asprezza del litigio fra Maša e Serghej in merito all’ultima serata di gala con il principe prima di tornare in campagna (p. 90). Quanta cattiveria, quanta reciproca incomprensione, quanto orgoglio! È il ‘punto di giro’ del racconto a mio avviso, il momento in cui tutto cambia per i protagonisti. Ma d’altronde è Serghej stesso a dire, poco prima, che la felicità familiare sembra ridursi a una gara di magnanimità. E un po’ in gara si sente Maša nei confronti del marito, con quella giovanile ansia nel credersi sempre sottovalutata, trattata come una bambina. Quella bambina che lui ha conosciuto un tempo e che ora lei vorrebbe far dimenticare. Ma la via per raggiungere la maturità è lunga e difficile, lastricata di inciampi e marchesi italiani che mettono a dura prova anche gli animi più fermi e onesti come quello di Maša. E tutto passa, provare rimorsi o rimpiangere lo splendore che li aveva avvolti nei primi, innamorati, mesi di nozze è inutile, come dice Serghej nel finale, perché ‘ogni epoca ha il suo amore’ e quello che fra loro è rimasto non è, e non può più essere, lo stesso di un tempo di cui è rimasta soltanto una flebile traccia.
A tratti, Maša ricorda Nataša di Guerra e Pace nelle sue tristezze come nei suoi entusiasmi (l’entusiasmo selvaggio di cui entrambi i fidanzati sembrano essere pervasi). Maša ha una sua ingenua civetteria, una sua fresca profondità di sentire, la convinzione di comprendere Serghej ed esserne compresa, ma è davvero così? O non sta attribuendo a quest’uomo senza dubbio buono e sincero, più qualità e doti di quante non ne abbia? Lo crede simile a lei, quasi un compagno di giochi in certi momenti, ma vent’anni li separano in un’epoca in cui vent’anni di differenza, la differenza la facevano davvero! (p. 45: Pensavo a lui come a me stessa…mi sentivo ormai una sua pari.) Ma quando, poco dopo le nozze, salgono in carrozza e lui chiude lo sportello con un colpo secco, lei trasale: vive quel gesto come offensivo e definitivo, come se Serghej stesse dando per scontato tutto di lei e quello che accadrà di lì a poco (di nuovo il concetto di proprietà) e il tempo dei giochi fosse finito, ora si fa sul serio. È inoltre un capitolo della sua vita che si chiude e ha paura delle novità che dovrà affrontare.
Qualcosa, nella prima parte del libro e nel rapporto di profonda comprensione e complicità che si instaura fra i due, mi ha ricordato le pagine di Anna Karenina in cui Levin e Kitty si ritrovano e si dichiarano il loro amore utilizzando solo lettere puntate. Un’intesa che va al di là delle parole e che purtroppo non durerà in eterno come Maša s’illude avvenga.
Interessante anche notare come Tolstoj abbia utilizzato lo stesso stratagemma di Turgenev (Alla vigilia è del 1859 come questa novella) per la dichiarazione d’amore fra Maša e Serghej. Lui pronto a partire perché gli sembra impossibile che lei lo ami e non vuole accettare un rifiuto in caso di proposta.
Divertente e molto da commedia di De Filippo, il breve passaggio in cui il servo di Serghej si reca di nascosto - così crede lui! - nello studio del padrone e gli ruba il tabacco o la presenza delle nobili decadute, ospitate e nutrite dalla suocera di Maša nella tenuta. Pare che Curzio Malaparte sostenesse che russi e napoletani si somigliavano parecchio per usi e stravaganze. L’ho sempre pensato anch’io.
Su tutto trionfano le descrizioni della natura.
(Francesca Battistella)
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