Addio alle armi
Ernest Hemingway
Mondadori
La Prima Guerra mondiale secondo Ernest Hemingway. Il suo non è tanto un giudizio (anche se c'è, sotteso, pure quello): è piuttosto una presa diretta, una macchina per scrivere puntata come una telecamera sull'orizzonte di una realtà vissuta personalmente. "Addio alle armi", uno dei migliori romanzi dello scrittore americano, ricostruisce - con finzione romanzesca ma con forte accento autobiografico - l'esperienza che il giovane Ernest, sospinto da quel misto di idealismo, vitalismo e irrequietudine che lo segnò per l'intera sua vita - volle compiere sul fronte di guerra come volontario; fu arruolato come autista di ambulanza nelle truppe italiane. Fréderick Henry, il protagonista dl romanzo, è proprio anche lui un americano volontario, autista di ambulanza. Nel 1917 partecipa di striscio, ma toccando la violenza concreta della guerra (imboscate, spari, scoppi di granate, feriti, morti) al disastro di Caporetto e alla tremenda ritirata, con feriti gementi, cadaveri sparsi, truppe in fuga, soldati ammutinati che sfidano gli ufficiali. Frédérick Henry capisce che la guerra è ben poco ideale (ma esistono guerre giuste? Se sì, pochissime"…) e molto cattiva. Quelal del 1914-18, comunque, è assurda, dolorosa. Capisce che fra le truppe italiane serpeggia il rifiuto di quel conflitto. Conosce Catherine, infermiera volontaria britannica, i due si piacciono, si innamorano, si perdono, si ritrovano. Frédérick, deluso e sfiduciato, scappa dall'esercito e dalla guerra, corre verso Catherine, diventa un disertore. La storia si fa amorosa e rocambolesca, si passa da Milano, dal Ticino (Brissago) si finisce sul lago Lemano, a Losanna. Non dico di più. E' un romanzo di guerra (toccata, vissuta) e di pace (desiderata) intessuto dal filo di una passione amorosa. Il finale ha fatto discutere, con la sua impennata imprevista e drammatica: in molti hanno provato, da lettori autonomi, a pensarrne uno diverso"… "Addio alle armi" è a modo suo pacifista, crudo e rivelatore sulla bruttura della guerra: scritto negli Stati Uniti lungo l'arco di parecchi anni, dopo il ritorno di Hemingway dal fronte europeo, iniziato quando la moglie era incinta e si stava preparando al parto, ( e il lettore vi troverà un nesso con il romanzo) "Addio alle armi" fu più volte riscritto e revisionato e infine venne pubblicato nel 1929, quando si sapeva fino in fondo quale carneficina (inutile) fosse stata la Prima Guerra. Il fondale in qualche modo ideologico (l'assurdità della guerra, appunto) accoglie nondimeno la fisicità vitale di Hemingway, il suo senso della realtà da vivere. Le descrizioni di battaglie, ritirate, feriti, azione, fango e piogge sono efficaci e incalzanti. Ma anche le altre pagine (Milano, il grande e vecchio albergo di Stresa, lo sbarco in Svizzera, le atmosfere, le veglie amorose) sono fra le più notevoli di Hemingway. La vena dello scrittore viene fuori nei ritmi sincopati, nei dialoghi serrati, negli scorci di natura. La sua è una scrittura di carne, incisa nel legno di un ruvido vitalismo, dialoghi scattanti e serrati e improvvise pause di luci e scorci, sequenze di un film, taglio americano diretto ma con incursioni calde e malinconiche. Hemingway fa cantare la pagina, la sgrezza e la scolpisce con scalpello sicuro. L'attivismo realistico si sospende molto spesso in cambi di velocità, quando irrompono nella scrittura spedita e tramata di dialoghi, come un'incursione armoniosa, luci, grandi alberi, colline e pianure, paesaggi più remoti: spesso lo sguardo si alza di là dagli alberi, di là dalle colline, di là dalle ultime montagne azzurrine, oltre l'orizzonte: quante volte Hemingway, qui e in molti suoi romanzi, guarda "˜di là', come a cercare una quiete misteriosa e ineffabile al suo male di vivere lenito in vita dall'alcol, dalle emozioni forti, dalla natura difficile e maestosa, dalle donne lasciate e perdute.
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