Francis Scott Fitzgerald
Feltrinelli
Quanto si beve, in questo romanzo! Scorre alcol a ettolitri, nell'allegro e incosciente stordimento dell'ebbrezza come musica di fondo, quando non è ubriachezza catatonica. Eppure siamo negli anni americani del proibizionismo alcolico, e il whisky (e tutto il resto) è perseguito dalla legge e tuttavia è molto più desiderabile di prima, proprio per questo. Quel che si vuole, lo si trova sempre. È in una New York luminosa di neon luccicanti e di modernità arrembante (anche se lontano brontola la Prima guerra mondiale, che coinvolgerà anche gli americani) che Francis Scott Fitzgerald colloca la storia nervosa e spossata di Anthony e Gloria, i due giovani eroi "antieroi" di "Belli e dannati", suo secondo romanzo dopo "Di qua dal paradiso". Fitzgerald ha appena 26 anni e se "Di qua dal paradiso" appare ancora pieno di potenzialità (e acerbità, forse) questo nuovo romanzo è subito denso, compatto, inesorabilmente "fitzgeraldiano", sontuosa anteprima di quello che sarà poi "Il grande Gatsby". Anthony è un giovanotto perdigiorno, inconcludente, con sogni di scrittura e bicchiere facile; deve tirare un po' la cinghia perché riceve denaro a fisarmonica ma è erede unico di un nonno ricchissimo, con il quale peraltro va poco d'accordo perché il nonno è una vecchia figura di puritano americano tutto virtù e predicazione astemia e doveri morali. Anthony incontra Gloria, ragazza bellissima che si pasce della propria bellezza e la coltiva come un fiore, capricciosa e orgogliosa, caratterino difficile. Il romanzo, di fatto, è la cronaca amorosa di questa coppia di inconcludenti nati stanchi e afferrati dal vago sogno americano di successo e lusso, fra euforia alcolica e stanchezze depressive. È la famosa "età del jazz" che ritroveremo in Gatsby, è lo smarrimento di valori certi, è l'appannamento della forza di volontà risucchiata dalle mille luci e dai mille sogni di una new York brulicante di ambizioni e perdizioni. Anthony, Gloria e i loro amici intellettuali sfaticati, inaffidabili ma anche affascinanti, rappresentano una fetta di generazione indecisa, resa insicura dalla velocità del progresso che risulta sproporzionata rispetto al cedimento di certezze e valori, nella confusione del primo Novecento affacciato sull'orlo venturo della grande crisi economica della Depressione. Eppure quei due, Anthony e Gloria, si vogliono bene, come succederà del resto per davvero nella vita vera a Fitzgerald, per sempre legato alla sua moglie Zelda nel disastroso amore mai spento, innaffiato da alcol e costellato di ricoveri psichiatrici. Si vogliono bene nonostante tutto, e così noi lettori vogliamo bene a quel loro disordinato amore, fatto di desiderio, strappi, attrazioni e incomprensioni, irriducibile riavvolgimento di legami e passione. A scintillare non sono, nel romanzo, solo le luci di quella New York bella ed effimera ma è anche lo stile narrativo acceso dalla scrittura di Fitzgerald, che ha cambi di ritmi, moti sincopati, improvvisi "assoli" di brani teatrali, secchezza decisiva di dialoghi e improvvisi affondi di paesaggi e pensieri, in un tripudio di feste e malinconie, desideri e nostalgie, bevute fino all'alba e risvegli emicranici. Il tutto aspettando l'agognata eredità del nonno ricco, puritano e astemio che non si decide a morire.
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