John Williams
Fazi
Il romanzo è del 1960 e merita di essere rimesso in luce, come ha fatto l'editore Fazi. Qui siamo in un genere quasi epico: quello dell'Ovest americano al tempo dei pionieri, quello del mito fondativo della frontiera. Si tratta di un western, ecco. Ma senza sceriffi o duelli o sioux sul piede di guerra. Ma le persone, la terra, le poche case, l'orizzonte immenso della natura appena appena solcata dall'uomo, l'odore caldo delle pianure riarse e poi la morsa del gelo e della neve sui monti selvaggi del Colorado appartengono all'epopea del "far west", senza gli intrecci romanzeschi di fuorilegge ed eroi. Siamo nel 1873 e il giovane Will Andrew, bostoniano figlio di buona famiglia e turbato da inquietudine interiore e desiderio di libertà e di orizzonte vasto, approda solitario a Butcher's Crossing, poche baracche e due strade, un saloon, un albergo di legno, un emporio, un fabbro ferraio, un deposito di pelli di bisonte, stalle di cavalli. Oltre le case, il grande fiume e poi la grande distesa del West. Da lì parte l'avventura di tutto il romanzo, legata alla caccia ai bisonti. Le frontiere sono ancora labili, nuove, si spostano. Sta per finire l'epoca della natura selvaggia percorsa solo dai cacciatori di bisonti, sta per arrivare la ferrovia, che taglia in due i territori e porta in fretta civiltà, commerci e mondi nuovi da un capo all'altro. Fioriranno altri scambi, altre economie. Ma per ora va in scena la rappresentazione di una spedizione di caccia avventurosa, quasi estrema. I pochissimi protagonisti della spedizione (e del romanzo) attraversano pianure, montagne e boschi, soffrendo la sete, il caldo torrido, il gelo, le tempeste di neve. E poi ci sono i bisonti e la caccia cruenta, le corse delle mandrie nella polvere, l'odore selvatico, il sangue. La natura viene sfidata e a sua volta la natura sfida gli uomini, fra paesaggi maestosi e micidiali pericoli. Qui si torna al rapporto primario fra uomo e natura: la fame, la caccia, l'istinto di sopravvivenza e il mistero grandioso di una terra aspra. Poi ci sono barlumi di vita sociale: il saloon che odora di whiskey e di sudore, gli uomini con la fondina della pistola alla cintura, la seduzione di donne che viaggiano al seguito dei rudi pionieri come se si trattasse di un circo in viaggio. La trama qui conta poco, anche se c'è un filo di storia che viaggia. Conta l'esperienza del protagonista, il giovane di Boston che ha interrotto gli studi per addentare la vita vera e che sente il richiamo di un ineffabile desiderio di terre nuove e sfide inquietanti. Questo romanzo strano e avvincente, molto fisico (terra uomini, animali cibo, sensualità) segna il passaggio dall'Ottocento selvaggio all'epoca della strada ferrata che cambia il mondo (e viene in mente la canzone "Buffalo Bill" di De Gregori, che parla proprio di bufali di ferrovia). Ma è anche la storia di una battaglia fra uomo e natura in cui gli istinti primari fanno i conti con un mondo selvaggio. I protagonisti sono pochissimi, ognuno con un suo carattere, ognuno con un suo destino. La vita, su quella scena, ha un che di implacabile ma anche di misterioso. E la narrazione pure.
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