Casino Royale
Ian Fleming
Adelphi
Cinquant'anni fa moriva Ian Fleming. Era nato nel 1908, fu un militare della Marina britannica e fece parte di servizi segreti di Sua Maestà. Fu anche - e soprattutto - scrittore, ed è noto per essere stato l'inventore di James Bond.
Il mio nome è Bond. James Bond. Negli anni 60 del secolo scorso quella frase entrò nell'orizzonte della nostra immaginazione, al seguito dell'arrivo sugli schermi dei film con 007. L'agente dei servizi segreti britannici aveva il volto bruno (occhi di velluto e acciaio, sorriso enigmatico fra seduzione e durezza elegante, raffinata) di Sean Connery, che in barba a tuti i successori più o meno riusciti rimane il miglior Bond in assoluto sullo schermo. Era il tempo in cui gli agenti segreti passavano in un batter d'occhio dalla tuta di sub allo smoking, guidavano Aston Martin avveniristiche (oggi sono vintage) e sorseggiavano champagne millésimé badando di non mostrare, alzando il calice, la fondina della pistola sotto l'ascella e sopra la camicia immacolata. Il mito di James Bond, dunque. Però la popolarità cinematografica non deve sottrarci al riconoscimento dell'originale: che è letterario. E di spessore. La spettacolarità brillante dei film non possiede però il valore di un'opera cinematografica profonda, che sarebbe potuta essere, nella diversità, perlomeno parallela alla stoffa forte dei romanzi. Ian Fleming, dunque, moriva 50 anni fa. Nel 1952 aveva esordito con il primo romanzo della serie di James Bond, "Casino Royale", edito più volte in italiano e due anni fa riproposto da Adelphi: 007 promosso dalla collana "Segretissimo" ai piani alti dell'editoria italiana raffinata. Il romanzo , subito, ci dischiude un personaggio più vero, approfondito rispetto al mito dei film: brillante sì, bell'uomo seduttore e da sedurre, coriaceo nella fedeltà al servizio, agile, attento, felpato come una tigre guardinga; ma anche interiormente tormentato, complesso. Intorno a lui si muove un mondo aggrovigliato di interessi forti, cause alte e scopi meschini, in un intreccio fra servizi segreti e mafie, brame di potere, personaggi positivi e franchi e personaggi perversi. Questa prima storia si svolge sulla costa normanna della Francia, in riva all'Atlantico, in una località termale inventata dove c'à un celebre Casinò. Il "cattivo" della storia è Le Chiffre, ambiguo finanziatore del Partito comunista, gestore avido di bordelli, cinico giocatore d'azzardo. Si tratta di costringerlo a fornire informazioni sui russi (già, c'era ancora l'Unione Sovietica) indebolendolo e battendolo nel suo campo, il gioco. M, il mitico capo del servizio segreto di Sua maestà, manda in trincea l'agente 007, James Bond, poiché lui è quello che sa giocare meglio a carte. Il lettore di Casino Royale dovrebbe, prima di affrontare il romanzo, imparare in fretta come funzione il gioco del "Baccarà", che assomiglia molto al noto "Sette e mezzo" (invece del sette e mezzo, in sostanza, bisogna raggiungere il nove). Soltanto così si gusteranno le pagine di una spossante, decisiva partita fra Bond e Le Chiffre, terminata all'alba dentro le luci eleganti e il puzzo di sudore, sigari e paura del casinò. Nel romanzo subito appare anche l'agente della CIA, amico di Bond, Felix Leiter, che incontreremo poi nelle successive storie. E naturalmente, cherchez la femme: stavolta è Vesper Lynd, collega di Bond ai servizi. Intuirete subito che Vesper percepirà il fascino di quel suo connazionale bello e misterioso; e viceversa. Ci saranno scene anche drammatiche, persino una seduta atroce in cui gli aguzzini di Le Chiffre sottopongono Bond a una tortura molto grezza (che nel film diventerà più tecnologica e raffinata). La scrittura è densa, raffinata, i dettagli psicologici e di costume molti, l'atmosfera è da alto bordo internazionale, fra spietatezza e buona causa, con molto orgoglio inglese. Ian Fleming, scomparso mezzo secolo fa, sapeva scrivere, eccome.
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