Chi manda le onde
Fabio Genovesi
Mondadori
C'è in giro questo romanzo italiano nuovo e strano, di cui si parla, concorre anche al premio Strega, l'autore è quarantennne e ha alcuni padrini eccellenti nel campo dei critici e dei media, il che non fa mai male a un libro. Si chiama Fabio Genovesi, ha già pubblicato titoli abbastanza affermati e questa volta s'invola nel grande romanzo: nel senso di lungo e corposo ma anche denso di trama e punti di svolta, un misto di dickensiana compassione per ragazzini sfortunati e di invenzioni comiche e grottesche. Subito qui, in quest'ultimo aggettivo, sta un certo limite del libro, che per il resto scoppietta di tensione e qualità e inanella emozioni fino a rendere totalmente simpatetico il lettore con i personaggi principali. Qualche forzatura di invenzione grottesca va dunque un po' sopra le righe, come in quei film-commedia in cui l'assurdo e il demenziale vanno a braccetto (tipo quei buontemponi che girano con un cadavere ingombrante di cui non sanno disfarsi, con contorno di tipi strambi che più strambi non si può). Senza nulla togliere al respiro dell'avventura della lettura oso appena dire che due ragazzini di scuola media sono i protagonisti dolci e indifesi e immaginosi di questa storia: Luna, che è nata "albina", con pelle e capelli bianchissimi e con gli occhi che deve sempre schermare con occhialoni scuri per non farsi ferire dalla luce; e Zot, ragazzino russo di Cernobyl, orfano educato da suore italiane e ospitato poi da privati in Italia. Lo sfondo è Forte dei Marmi, la sciccosa località balneare toscana, vissuta dalla parte non dei turisti ma degli indigeni, fuori stagione e dal circuito mondano. Luna è sensibilissima e strana, Zot è sbeffeggiato e tiranneggiato dai coetanei, saccente in buona fede, saggio come un vecchietto. I due si alleano in un guardingo vincolo affettivo per far fronte comune contro le piccole sventure della vita, che a loro si presentano precocemente. Poi c'è il fratello di Luna, il bellissimo liceale Luca, solare e buono, irresistibile e adorato dalla sorellina. E c'è la loro mamma, Serena, misteriosa e molto bella, fiera e addolorata. E, ancora, c'è un "nonno" fuori di testa ma col cuore a posto. E c'è gruppetto di "vitelloni" locali (oggi si dice "sfigati") che passati i trent'anni non sanno ancora cosa fare della loro vita, falliti nei mestieri, goffi con le donne, pressapochisti con gli impegni morali. Per uno di loro, Sandro, forse la salvezza non gloriosa ma buona potrebbe venire dall'amore: posto che lei, l'amata, se ne accorga"…. Per il resto, dovete lasciarvi acciuffare da questa storia che tira i fili dei piccoli destini personali in una matassa abbastanza complicata. Vivida è la vena narrativa della tenerezza, dell'empatia, dell'emozione per battiti di vita marginali ma preziosi e veri. C'è l'incanto di quell'età fra infanzia e adolescenza quando tutti i miracoli sono possibili e credibili, come quelli di alcuni oggetti o segni portati dalle onde del mare sulla battigia (qualcuno manda quei segni, le onde si frangono allo stesso modo, sempre e da sempre: ma chi manda le onde?...). Ci sono sentimenti buoni, una ruvida e candida religiosità disordinata ma intuita. Il romanzo è comico e commovente, pieno di illusioni e disillusioni, di meraviglie e dolore, con il limite d'eccesso di cui s'è detto. Il linguaggio è diretto, gergale e popolare nei dialoghi, sensibile nel narrare. Un assaggio: ""…Ed è tipo una festa, la festa di Serena, dicono le amiche e lo dici anche tu, sbattete i bicchieri pieni di ghiaccio e di cocktail e tutto è splendido, gli scherzi, le risate e le storie di uomini che piacciono a una ma non la vogliono, o che non la vogliono abbastanza, o che la vogliono ma lei ne vuole un altro. C'è l'odore della sera quando l'estate è vicina e arriva con un bicchiere in mano e la musica addosso. C'è la brezza che trova chissà dove il profumo del gelsomino e lo porta fino in mezzo a un bar pieno di gente sudata"...
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