Diatriba d'amore contro un uomo seduto
Gabriel Garcia Marquez
Mondadori
Di Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel per la letteratura, autore di memorabili romanzi, è poco conosciuta un'operina bella e curiosa: un lavoro teatrale, pensate, un monologo femminile sulla scena. Per un narratore dalla prosa romanzesca sontuosa si tratta di una divagazione stupefacente e anche piacevolissima. Pubblicata nel 1987, fu tradotta in italiano soltanto vent'anni dopo ed è ora presente nei tascabili Mondadori. Vale davvero la pena di leggere questo testo breve, fulminante per tensione e sorpresa. Nel testo Marquez avverte che all'inizio, a sipario ancora abbassato, il pubblico sente un frastuono di stoviglie fracassate, segno di una qualche virulenta lite domestica. Poi il sipario si alza: "E notte. Graciela sfrega un fiammifero nelle tenebre per accendersi una sigaretta, e il bagliore dà inizio alla lenta illuminazione del palcoscenico: è una camera da letto di gente ricca, con pochi mobili moderni e di buon gusto. C'è un vecchio attaccapanni, dove sono appesi alcuni degli indumenti che Graciela userà durante il suo monologo, e che rimarrà per tutto il tempo dell'azione"….All'estremità destra, seduto su una poltrona classica, in abito scuro e col viso nascosto dietro il giornale che finge di leggere, c'è il marito immobile. E' un manichino". Idea geniale: il pubblico sulle prime non si accorge che la donna si rivolge con la sua recriminazione accorata non a un attore vero ma a un manichino immobile. Tutto il monologo è la rivisitazione lucida e femminile di una storia d'amore durata 25 anni e ora atrofizzata, sostiene lei, per l'indifferenza egoistica di lui: la colpa che lei maggiormente imputa al marito è quella di avere avuto accanto l'amore e di non essersene accorto. Graciela racconta gli inizi poveri della loro vita a due prima della ricchezza, e le città diverse del loro quarto di secolo passato insieme. Ricordando, lei indossa di volta in volta, prendendoli dall'attaccapanni, capi d'abbigliamento rievocativi di quei tempi (e sullo sfondo alcune luci e ombre cangianti sottolineano tempi e luoghi diversi, in una mutazione significativa della scena). Non sto a rivelare il crescendo di rimproveri e amarezza da parte di una donna che chiedeva amore e ha ricevuto poco o niente e lo dice in un monologo accorato in cui fioriscono anche perle narrative. Come quando si dice che la giovinezza è passata e sta avanzando la vecchiaia e questa mutazione amara la si coglie all'alba: "Non fosse per via delle albe, rimarremmo giovani tutta la vita. E' proprio vero: invecchiamo all'alba. I tramonti sono deprimenti, ma ti preparano all'avventura di ogni notte(come direbbero i letterati). Le albe no. Alle feste, appena sento il silenzio dell'alba, mi viene uno struggimento che non mi dà pace in corpo. Bisogna andare via!, in fretta, a occhi chiusi per non vedere le ultime stelle. Perché se il giorno ci coglie per strada col vestito della festa, ci rovescia addosso un diluvio di anni"…". Oppure ecco l'elogio del viaggio lento: ""…Il treno è l'unica maniera umana di viaggiare. L'aereo sembra un miracolo, ma va così veloce che arrivi solo col corpo, e poi ti muovi per due o tre giorni come una sonnambula, finché non arriva l'anima rimasta indietro"…". Sarebbe bello se in un teatro nostro una brava attrice, con una accurata regia, mettesse in scena questo piccolo gioiello di Gabriel Garcia Marquez.
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Gabriel Garcia Marquez
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