Jane Austen
Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, Garzanti
Usciva nel 1815 per la prima volta, in Inghilterra, "Emma", di Jane Austen (1775-1817) la scrittrice he si pone all'alba formativa della poderosa storia del romanzo inglese dell'800. L'incipit celebre per la sua lievità sintetica e concreta di nozioni: "Bella, intelligente e ricca, con una dimora confortevole e un carattere felice, Emma Woodhouse sembrava riunire in sé alcuni dei vantaggi migliori dell'esistenza; e aveva vissuto quasi ventun anni in questo mondo con scarsissime occasioni di dispiacere o dispetto..." Scopriremo poi via via che Emma, orfana di madre, vive con l'amato e vecchio padre (il quale è un po' ipocondriaco e passa le giornate a scrutare il cielo, l'umidità e le temperature per spiare avvisaglie di malanni, rifugiandosi nelle benefiche pappe d'avena). Lei sta bene com'è, non pensa nemmeno all'ipotesi di un matrimonio. Però ha un piccolo vizio: le piace metter mano alle ipotesi sentimentali degli altri, si dà da fare per combinare innamoramenti e possibili sposalizi. E crea pasticci, in una sapida commedia degli equivoci. Imparerà, Emma, che bisognerebbe prima badare alla propria possibile felicità invece di ficcare il naso in quella, presunta, degli altri.
"Emma" è un mirabile intreccio psicologico, su un fondale perfetto di costume e di società nella campagna inglese fra Sette e Ottocento, naturalmente sempre secondo il punto di vista dei gentiluomini che possiedono ville e sostanza e del piccolo mondo antico che gira loro intorno. Jane Austen è figlia di quel mondo ma possiede il graffio geniale e divertito per punzecchiarne i riti e il perbenismo. Nessuna ribellione di appartenenza: soltanto la critica destata dall'intelligenza e dallo humor finissimo. La trama romanzesca si addensa in un fitto intreccio di conversazioni e di riflessioni interiori, queste ultime condotte per mano dalla stessa autrice che da una parte mette in scena le parole e i fatti oggettivi e dall'altra interpreta - e giudica - i pensieri, le intenzioni consce anche quelle inconsce dei personaggi. Forse qua e là la mescolanza di personaggi e l'affastellarsi delle loro rispettive piste di destino denotano una concentrazione troppo densa di nomi e congetture: rispetto alla perfezione adamantina di "Orgoglio e pregiudizio". " Emma" appare appena un po' più complicato per il viavai di gente che esso inscena. Jane Austen ha inventato qui l'ennesimo personaggio femminile, questa volta un po' più capriccioso degli altri. Emma è bella, ricca e fortunata. Ma è anche un po' viziata e crede di poter tessere i fili dei destini altrui. Per sé stessa sembra aver volutamente dimenticato l'ipotesi di un destino forte, accontentandosi apparentemente di essere la "signora" della casa accudendo il buon vecchi padre, facendo la zia volonterosa dei nipotini e conversando con piglio orgoglioso con l'unica persona veramente saggia, seria e intelligente dei dintorni, l'enigmatico Mister Knightly. Emma è intelligente ma non troppo, disegna bene ma niente di più, ha dei talenti ma non sono enormi: una brava e bella ragazza, si direbbe oggi. Emma innervosisce il lettore ma non si può non volerle bene: quando avrà capito che il divario fra la presunzione e la concretezza effettiva delle proprie doti si cancella accettando e amando la realtà per come essa è e non per come lei la vorrebbe, avrà compiuto il passo decisivo della sua vita. Per il resto, è delizioso il paesaggio ambientale e umano del romanzo: tutto si svolge fra ville e piccoli borghi della campagna inglese, ancora non sono stati inventati i treni e il telegrafo, si viaggia solo a cavallo e con le carrozze su strade fangose; nelle fredde sere d'inverno, quando fa buio alle cinque, davanti al fuoco dei salotti la socialità si esprime tutta nella conversazione, nei giochi da tavola, nei pettegolezzi rivestiti d'eleganza e schermati dal perbenismo, nelle congetture e nelle immaginazioni, il tutto affidato alla sola parola umana, prima di ogni avvento tecnologico, prima di ogni futura era di telefoni e schermi.
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