Circolo dei Libri

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16ottobre
2020

Vincenzo Todisco

Armando Dadò editore

Anni '50 e '60, se un operaio italiano stagionale in Svizzera voleva portare con sé e con la moglie (posto che anche lei avesse un contratto) i propri bimbi, doveva nasconderli. Era proibito portare appresso bambini: se fossero stati scoperti, tutta la famiglia veniva espulsa. E così, pur di avere con sé un proprio figlio, molte coppie di lavoratori stagionali in Svizzera lo nascondevano in appartamento, lo facevano sparire in qualche ripostiglio o armadio quando c'erano controlli, lo facevano vivere come un piccolo recluso. Al di là della giusta deprecazione per questa crudeltà di legge, lo scrittore Vincenzo Todisco racconta la storia personalissima e singolare di un bambino nascosto per anni negli angoli del suo appartamento e negli anfratti del palazzo dove vive con i suoi genitori. Il bambino deve emergere cauto, scomparire in fretta, strisciare negli angoli. Come una lucertola. La sua storia, realistica e al tempo stesso strana fino ad accenti surreali, assume la valenza di esperienza esistenziale complessiva, universale: l'emarginazione psicologica, la separatezza dal mondo, la costrizione. Il romanzo è uscito prima in tedesco ("Das Eidechsenkind", Rotpunktverlag) ed è stato tradotto dallo stesso autore in italiano per la nuova collana "La libellula" dell'editore Armando Dadò. Vincenzo Todisco tocca con attenzione ed emozione una corda vitale e dolorosa della lunga stagione migratoria italiana in Svizzera: ma il suo non è un pamphlet di denuncia sociale (peraltro su questa piaga etico-sociale la società svizzera ha riflettuto a lungo e in modo autocritico). Il nascondimento forzato di un bambino diventa per Todisco l'avvio di una storia privata e tuttavia provvista del respiro di una universalità che, partendo dal bambino rinchiuso per colpa di una legge occhiuta, arriva alla condizione generale della marginalità coercitiva, della esclusione, della stranezza imposta da un destino. Vincenzo Todisco è titolare di una sua storia interessante. Nato a Stans, nella Svizzera tedesca, da genitori immigrati italiani, a pochi anni si trasferisce a San Moritz, nell'Engadina romancia e internazionale, dove il padre era diventato capo-cameriere all'Hotel Palace. E così il ragazzino Vincenzo negli anni dell'infanzia gioca nelle "coulisses" del Grand Hotel con i figli degli altri camerieri e cuochi ma anche talvolta con la prole dei ricchissimi frequentatori dell'albergo. In seguito Todisco sposa una ragazza romancia, con la quale ha avuto sette figli, e abita oggi a Rähzüns, nei Grigioni, al confine fra terra tedesca e terra romancia. È insegnante di lettere a Coira. Laureato in letteratura italiana e francese all'Università di Zurigo, egli dunque possiede, con la conoscenza piena delle quattro lingue nazionali, una sua "svizzerità" particolare, aggiunta alla sua radice d'origine bene innestata nella realtà elvetica. Al netto di qualche forzatura stilistica (per esempio la ripetizione eccessiva del soggetto "bambino lucertola", o qualche tipizzazione troppo profilata nei personaggi), il romanzo trasmette al lettore una emozionata solidarietà per il bambino nascosto e si conclude con un finale apertissmo a plurime ipotesi. È vivo, brulicante e intessuto di solidarietà e diffidenze il caseggiato della città svizzera in cui si svolge il romanzo: ma la Svizzera non è mai nominata: se il paesino italiano d'origine, Ripa, ha un suo nome, la nazione elvetica è soltanto "il paese d'accoglienza": una finezza indicativa.