Il figlio del figlio
Marco Balzano
Avagliano
Si tratta di un lungo racconto intenso, umanissimo, narrato in prima persona da un giovane insegnante precario di famiglia pugliese emigrata a Milano: Nicola sente il difficile rapporto con il giovane padre già parzialmente integrato nel nuovo mondo del nord e coltiva un legame più profondo, affettivamente intenso con il nonno, che vive anche lui a Milano ma giù a Barletta ha lasciato radici, casa, storia amicizie, vita. In questa terra (geografica e temporale) di passaggio Nicola vive la sua ansia, la sua nostalgia e la sua inquietudine, colte in una precarietà che prima di essere professionale è identitaria, esistenziale, culturale. Scritto molto bene, con accenti di tenerezza, ironia, malinconia, svolte commoventi e nodi drammatici, "Il figlio del figlio" porta una prefazione di Luisa Adorno (da leggere dopo, non prima della lettura del romanzo. La Adorno fra l'altro è una vecchia conoscenza delle edizioni Sellerio, con cui pubblicò una trentina di anni fa una deliziosa serie di libri autobiografici raffinati e ironici, che sarebbero da riprendere). La sorprendente pienezza di questo romanzo sta innanzitutto nella capacità di svelare rapporti intensi, belli ma anche non facili, dentro un intreccio di tre generazioni. Nicola ama quel suo nonno fiero, spavaldo, portatore di una esperienza che è quasi una civiltà perduta, quel suo nonno testimone , nella prima parte della sua vita, di un mondo meridionale ormai svaporato. Il nonno è in quel punto dell'esistenza di un uomo in cui la forza della mente e del cuore, ancora vigorosa, fa i conti con il declino fisico ("Tossiva, tossiva, tossiva. Con rabbia di uomo e debolezza di vecchio"). E possiede una sua sapienza morale che non sgarra, per esempio quando dice l'essenzialità non intaccabile delle amicizie, dei rapporti veri: " "Nicò! Nicò non fare il giovanotto che corre ancora dietro agli aquiloni! Nella vita di un altro o ci stai o non ci stai!". Ci sono anche i ricordi tenerissimi delle lunghe passeggiate di Nicola bambino issato sul sellino posteriore della biciletta del nonno, vero custode caldo della formazione alla vita del ragazzino. Il padre di Nicola, invece, già dentro l'integrazione milanese (ma non proprio del tutto) ha smarrito agli occhi del figlio la virile perentorietà dell'autorità e resta una specie di padre bambino. In mezzo a quelle due generazioni Nicola impara che lo sradicamento viene vissuto da ognuno secondo la propria esperienza di realtà e di tempo. Nonno, padre e figlio intraprendono insieme un viaggio dal nord al sud per dare un'occhiata alla vecchia casa di famiglia a Barletta, chiusa e abbandonata, casomai la si potesse vendere (la nonna, rimasta a Milano, si oppone ferocemente: "lei si batteva per conservare un rapporto con lo spazio, visto che conservare un rapporto col tempo non si può"). Bella la parentesi strana, misteriosa e a modo suo spirituale della sosta a metà strada, nelle Marche, in un monastero in cima a un monte dove è diventato monaco un vecchio commilitone di guerra del nonno. Ma poi vividi, pieni di odori, gusti, sporcizia, colori, nostalgia, estraniazione, affetto sono i giorni che il terzetto trascorre al paese, ognuno a pescare nel pozzo della propria memoria: il nonno la sua mezza vita, il padre la sua giovinezza, il figlio le lontane vacanze estive dell'infanzia.
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