Matteo Terzaghi
Quodlibet
Si intrecciano in una cadenza quasi musicale i racconti (schizzi, apologhi, divertissements, bagliori narrativi) di Matteo Terzaghi raccolti in questo volume dalla struttura ironicamente e affettuosamente didattica. Si va per capitoli generali (“Manuali, enciclopedie, favole”, “Piccolo libro di lettura a uso di chi passa”, e “Altra infanzia”). In apertura, quasi come un piccolo avanspettacolo, c’è un raccontino intitolato “Si comincia con un funerale”: una visione un po’ felliniana in cui il passo malinconico del corteo funebre si trasforma in una ballata allegra e magica, liberatoria. Il pretesto d’avvio dell’autore è la sua curiosità per i celebri manuali Hoepli (il mitico libraio ed editore svizzero in Italia). Manuali su tutto lo scibile umano, perfino sui “duelli”, “sui cavi telegrafici sottomarini”, “sull’industria dei fiammiferi e del fosforo”… Da lì parte Terzaghi, raccontando con precisione e con humor sottile la storia dei fiammiferi e del fosforo per il quale si accende la capocchia dei suddetti, fino poi alla decadenza del fiammifero stesso, sconfitto dagli accendini. La prosa di Terzaghi è calcolatamente semplice, lieve, e nondimeno sapientemente impregnata di piccoli affondi preziosi (come fiammiferi che si accendono improvvisamente, ecco). Esempio: “L’invenzione dei fiammiferi ha portato allo spegnimento di molti fuochi, perché con i fiammiferi la necessità di conservare la brace nei focolari per potervi attingere una fiamma in qualsiasi momento è venuta meno. Il fuoco si è allontanato dall’esperienza quotidiana, si è estinto come conseguenza del fatto di poter essere acceso, all’occorrenza, con la massima facilità”. Questo pensiero si attaglia a molte altre invenzioni che conquistano qualcosa ma spesso danneggiano qualcosa d’altro. Prendiamo l’invenzione del telefono. Utilissima per carità, come già esclamava in un suo opuscolo del 1886 l’ingegner Michele Patocchi (“il telefono ogni giorno si moltiplica, si ramifica, s’estende ed invade il mondo”). Ma già nel 1880 il pittore Degas, racconta Paul Valéry, un giorno aveva deriso un amico che era scattato in piedi con la prontezza di un servo per rispondere allo squillo del telefono: - c’est ça le téléphone? On vous sonne, et vous y allez“. ”Oggi”, soggiunge Terzaghi, “sappiamo quali progressi avrebbe poi fatto la telefonia cent’anni dopo, congiungendosi con l’informatica, nell’asservimento degli esseri umani”. E qui capiamo come l’autore mantenga un suo malinconico scetticismo su certo “magnifico” progresso di una umanità sempre più indaffarata, affrettata, eccitata. Si intuisce che Matteo Terzaghi, progressista su certe cose, per certe altre è un conservatore giudizioso. Anche nel capitolo “Piccolo libro di lettura a uso di chi passa” (un invito a sostare, a sillabare storie minime) scopriamo personaggi divertenti, allusivi, o misteriosi, sempre un po’ dismessi, laterali rispetto al corso consueto delle cose. Come l’accordatore di pianoforti, per il quale “i pianoforti sono delle macchine perfettamente autonome, funzionano anche durante i black out, anche quando crolla il mondo” (e peraltro secondo lui “la musica non serve a niente, è il suo bello”). E l’accordatore, coerentemente con il suo pensiero, sale e scende a piedi nei caseggiati senza prendere l’ascensore. C’è la vecchia signora che nel suo appartamento ha radunato centinaia di sassi, ognuno preso nel corso della sua lunga vita da luoghi dove lei era stata felice, e alla sua morte alcuni operai caricano a badilate la montagna di sassi (che hanno perso la loro vita) su un camioncino. Poi c’è il dandy un po’ sdrucito che impersona Diogene, la giovane farmacista che impacchetta una medicina con tale cura al punto di fare innamorare il cliente e incartargli bene la sua felicità, e tante altre piccole storie che ricordano la grazia ilare o stralunata o malinconica del Marcovaldo di Calvino: minuscoli apologhi narrati con tenerezza e con leggerezza (anch’essa calviniana). E poi, ancora: memoria di uno scrittore caro, bizzarri ricordi postali, un eremita enciclopedico in valle Onsernone, e altro. Nel capitolo “Altra infanzia” si capisce bene che nell’età d’oro della vita ci si impregna di sensazioni, visioni, immagini che poi saranno fieno in cascina per tutta la vita. Si va dai vividi ricordi di nonni e nonne e zii stravaganti alle mitiche attraversate del passo del San Gottardo stipati in una Peugeot 404 azzurro cielo, fino ai primi impatti del ragazzino con il dolore e la morte (un braccio ferito, un gallo decapitato). C’è posto anche per la stagione intuitivamente creativa dei bambini, quando il figlio dello scrittore a cinque anni se n’era uscito con questa perfetta definizione: “i sogni sono dei filmini nell’aria”. Ecco dunque un divertente e anche malinconico, intenerito, preoeccupato libro di impressioni narrate con raffinatezza: un manuale sulla vita, ecco.
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