La luce della sera
Edna O'Brien
Elliot
La grande vecchia signora della narrativa inglese non cessa di stupire. Edna O'Brien ha 85 anni, ci ha sedotti con il suo capolavoro "Ragazze di campagna", cui fecero seguito, in guisa di sequel, altri titoli. Un anno fa è uscita la sua autobiografia e ora Elliot traduce in italiano un altro romanzo sontuoso, "La luce della sera". Una carenza: nel volume italiano non c'è traccia né del titolo originale, né dell'anno della sua pubblicazione. Grazie alla scorciatoia di internet scopro che la O'Brien pubblicò questo romanzo cinque anni fa, quando aveva 80 anni. Lei non si distacca nemmeno qui dal suo filone vissuto, conosciuto, amato in modo denso e anche repulsivo, della propria radice di vita, dell'infanzia irlandese nel mondo rurale, cattolico, conservatore e vivido, intessuto di sapienza contadina e di regole moralistiche. Qui c'è di mezzo il rapporto difficile, strappato e riacceso, detto e taciuto fra una madre e una figlia e, prima ancora, di quella stessa madre con la propria madre, in uno sguardo che abbraccia tre generazioni, anche con una parentesi di migrazione americana. O'Brien, narratrice sontuosa, non indulge a nessun sentimentalismo ma accoglie e dispiega le emozioni, non concede nulla all'idillio contadino ma mescola i sapori acri e dolci della ribellione, della nostalgia, delle incomprensioni generazionali. Qui c'è anche la fissura singolare di una diversità ineluttabile: la figlia spicca il volo, parte, impara a leggere romanzi e diventa scrittrice, la madre, Dilly, diffiderà sempre della parola scritta che separa la vita reale da quella immaginata. Eleanora invece cede all'irrealtà inebriante della letteratura, come una Bovary irlandese meno tragica. Eleanora subisce il fascino di un uomo, Hermann, per la sua aura intellettuale: "Lo conosceva solo da pochi giorni, era stata solo poche ore in compagnia di quell' uomo bello e austero, dai lineamenti scavati, il colorito olivastro, gli occhi infossati e quelle mani stupendamente espressive, che si muovevano come se fossero capaci di dare vita a qualcosa di speciale, un bambino, forse"…Seduta in un pub di Henry Street, ammaliata dalla conversazione erudita di Hermann e dal modo con cui gli altri uomini sembravano riverirlo, Eleanora aveva avuto la sensazione di trovarsi dentro un libro, lontana dalla sua tediosa vita, con il lavoro alla farmacia e le lunghe pedalate serali per andare a qualche conferenza". Qui c'è dentro tutta l'attrazione che questa piccola Cenerentola prova per un mondo che la sollevi in alto, oltre gli angusti confini della povera e moralistica contea irlandese di campagna. Ma la radice di una vita non si cancella: la vecchia madre, ricoverata in ospedale, ripensa alla propria vita e scrive lettere, che forse non invierà, alla figlia lontana la quale, combattuta fra il suo disordine esistenziale, la droga della letteratura e il richiamo della madre, risponde a intermittenza, arriva e riparte, nella scansione difficile di un rapporto madre-figlia sofferto. La scrittura della O'Brien è forte, distesa, ammaliatrice. Pennella con linguaggio vivo paesaggi rurali, corsie tristi d'ospedale, interni fumosi di campagna, descrive incontri amorosi, tesse con grande abilità narrativa una trama familiare drammatica, complessa, intenerita (c'è anche una grande e semplice figura di religiosa, Suor Consolata). Il romanzo conferma che scrivere vuol dire anche ricordare e ricordare significa far rivivere la realtà accaduta. La stessa Eleanora, reduce da un convegno amoroso furtivo ed emozionante, scopre di viverlo davvero nella sua pienezza soltanto quando lo ripensa: "Mentre camminava le sembrò quasi di sollevarsi da terra o forse era la terra stessa che lievitava sotto i suoi piedi, il parco non era più un tetro boschetto ma un palcoscenico con una fila di luci azzurrognole che danzavano sulla ribalta. Eleanora sentiva solo in quel momento la gioia che avrebbe dovuto provare in sua compagnia, e riviveva ogni istante del loro incontro". Ricordare per rivivere davvero. E scrivere per lo stesso motivo.
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