Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

05febbraio
2021

Antonio Pennacchi

Mondadori

Per gustare bene questo romanzo comico ed emotivo, gergale, immaginifico e storico al tempo stesso, occorre aver letto prima, di Antonio Pennacchi, "Canale Mussolini" (2010, premio Strega). Riappare infatti, ma bisogna già averlo conosciuto, il bizzarro casato contadino veneto della famiglia dei Peruzzi, emigrata con altre decine di migliaia di italiani del Nord Est verso le paludi della costa romana da bonificare. L'avvio epico di questa saga l'avevamo scoperto e molto goduto in quel primo romanzo, scandito nel il ritmo narrativo verbale dei "filò"( le veglie popolari durante le fredde sere d'inverno nelle stalle riscaldate dal fiato delle mucche). Pennacchi aveva poi continuato con "Canale Mussolini parte seconda" (un po' più arruffato e documentario: si può leggere anche quello, diciamo facoltativamente). Ed ecco ora che invece lo scrittore risfodera la freschezza e la ricchezza scenica e verbale del primo romanzo per continuare la saga con "La strada del mare". Di fatto in questi libri Pennacchi racconta, romanzandola, la storia della sua propria famiglia (cui dà il nome fittizio di Peruzzi) innestandola nella storia grande della bonifica dell'Agro Pontino, sul litorale romano del Mar Tirreno dove Mussolini, a partire dagli anni '20, prima di impantanarsi in tutte le criminose nefandezze che sappiamo, aveva iniziato la poderosa, gigantesca opera positiva della bonifica dell'Agro Pontino, sterminata zona paludosa e mefitica non abitabile. Per quel lavoro ciclopico saranno fatte migrare dal nord Est italiano 5.000 famiglie, 30.000 persone (contando sulla loro estrema povertà e la loro voglia di una vita migliore) verso le paludi infestate di zanzare e di malaria dove nascerà su terra nuova la città di Littoria, oggi Latina. La famiglia contadina dei Peruzzi, che in Veneto era stata sfrattata dal prepotente conte Zorzi ("Maladéti i Zorzi Vila!»), pur nello strazio della migrazione ebbe finalmente terra propria. Pennacchi ha ricostruito questo punto di vista soggettivo d'esperienza con empatia e senza pregiudizi ideologici e nemmeno censurando il grottesco e il male del fascismo. Egli nella "Strada del mare"ci riconsegna oggi la felicissima mistura di divertimento e commozione con cui vengono cuciti insieme il filo della storia privata familiare con quello della storia grande, vale a dire dell'Italia prima assoggettata al fascismo, poi colpita dal doppio fuoco (tedesco e americano) della guerra, e infine alle prese con la febbrile e feconda ricostruzione.Ma anche la storia del mondo, con una immaginazione narrativa comica e originalissima ma scrupolosamente legata, nella sostanza, al vero. Il nuovo romanzo, partendo dal primissimo dopoguerra (con incursioni nel passato) scrive le parole vivacissime della quotidianità vissuta e parlata dentro lo scenario di una Italia che cambia profondamente. Ritroviamo l'affollatissima stirpe dei Peruzzi (tantissimi nomi di nonni, genitori, figli, nipoti, ci si perde per forza ma poco importa, lo dice lo stesso autore): si riparte dalla bizzarra famiglia di zio Benassi e di zia Pace nata Peruzzi con la loro nidiata di figli e nipoti, e poi zio Adelchi e zio Iseo e poi i ragazzi che crescono (Otello, Accio, Manrico, Violetta e tanti altri) fra zolle da rivoltare, mucche da mungere, muri da tirar su in fretta, figli da sfamare, tenerezze e rabbie di parenti, lavori in cantieri e fabbriche, alle prese con il passaggio dalla profonda radice contadina alla rapida trasformazione della società italiana. Lo sfondo sociale e politico è visto dal basso, dall'umore popolare, con sguardi e intuizioni forti e veraci. Le vicende sono vivide, comicissime (si ride parecchio, leggendo) ma anche dolenti, commoventi, qua e là drammatiche. Lo stile è diretto, sanguigno, colloquiale (c'è lungo tutto il romanzo un interlocutore invisibile cui il narratore dà del lei : «Come dice, scusi ?», e poi gli spiega). I dialoghi sono molto spesso resi in un gustoso dialetto veneto, che per chi ha dimestichezza con le inflessioni dialettali del Norditalia, come noi di radice lombarda, è un puro godimento. Col passare degli anni le giovani generazioni impasteranno la parlata veneta con la nuova cadenza romanesco-laziale, mentre i dialoghi fra i personaggi storici, perché immaginati (viene in mente un ardito raffronto, in chiave comica, con "Guerra e pace, pensate un po'...), restano rigorosamente in dialetto veneto (esilaranti le battute fra John Kennedy , la moglie Jackie e i collaboratori). Alcuni punti rimangono irrisolti, quasi come promessa di una nuova puntata di questo poderoso affresco scritto. Come già dicemmo per "Canale Mussolini", ecco, nel panorama corrucciato della narrativa italiana, un romanzo corale, epico, popolare nel senso giusto.