Philip Roth
Einaudi
"Lo scrittore fantasma", pubblicato nel 1979, è uno dei molti spiragli attraverso i quali si può cominciare a cimentarsi con la grandezza urticante di questo scrittore spiazzante, sulfureo, amaro e comico, drammatico e demitizzante. Ebreo americano, non ha mai tagliato le proprie radici, nei confronti delle quali è stato spietatamente e allegramente destabilizzante, causando fratture di risentimento con la propria famiglia e il proprio ambiente. Questo romanzo inaugurò, ormai 40 anni fa, il ciclo spesso strepitoso dei libri che Roth ha dedicato al suo alter ego, lo scrittore Nathan Zuckerman, da lui inventato per prestargli via via, nel tempo, la propria educazione sentimentale e letteraria, le proprie nevrosi, le fobie, gli amori spregiudicati, la maturità e lo scricchiolante declino del corpo. Qui siamo all'avvio e Nathan Zuckerman è giovanissimo e se è vero che sogna di diventare un grande scrittore, per ora ha pubblicato solo qualche racconto su una rivista, suscitando qualche consenso ma soprattutto le arrabbiature dei propri familiari. L'aspirante scrittore ha mandato una lettera da ammiratore voglioso al celebre e grande scrittore E.I.Lonoff, anch'egli naturalmente inventato da Roth, anch'egli ebreo (qualcuno ha voluto vedervi un criptato riferimento al premio Nobel Saul Bellow). E questi a sorpresa lo riceve, in inverno, in mezzo alla neve, nel suo rifugio montano fra i boschi del New England dove il grand'uomo vive in isolamento quasi eremitico, scrivendo e leggendo, assieme alla devota moglie Hope. Zuckerman arriva, emozionatissimo, ed è felice di poter parlare di letteratura, anche se con goffaggine e qualche acerba millanteria, con il suo "idolo" letterario. A dire il vero Zuckerman trova esaltante non tanto la sostanza della conversazione ma già soltanto il fatto di essere lì a parlare con il grande scrittore in un ambiente che di per sé è già un affascinante luogo letterario: "Parlammo di letteratura...Ero incantato non soltanto dall'uomo e dal suo talento ma dal tepore del fuoco di legna, dal bicchiere di cognac che avevo in mano (se non ancora dal cognac che c'era dentro) e dalla neve che cadeva fitta fitta oltre i sedili imbottì del vano della finestra , sicuramente bella e sconcertante come sempre. E poi c'erano i grandi romanzieri, dei quali salmodiavo i nomi affascinanti...". Il romanzo parla della magia potente e conturbante della scrittura, dell'enigma legato alla commistione ambigua fra realtà e narrazione, laddove spesso ciò che è raccontato è più vero del reale. Il giovane Zuckerman vede che lì in casa c'è in visita una studentessa, Amy Bellette, invitata da Lonoff per un nebuloso lavoro letterario. Qual è il suo ruolo? Quale il vero rapporto con il vecchio scrittore? E con la moglie? Il ragazzo scopre, o crede di scoprire (ma è Roth a giocare con la vertigine dell'immaginazione) che dietro a questa ragazza c'è ( ma c'è davvero?) un clamoroso segreto. Poi naturalmente ci sono, abbozzati, già tutti gli ingredienti che via via si svilupperanno, negli anni, nella vita adulta di Nathan Zuckerman (lungo ben sei romanzi). Nell'ultimo, "Il fantasma esce di scena" (Einaudi) pubblicato da Roth nel 2011, il giovane Nathan è diventato davvero uno scrittore famoso, molto letto, molto ricco, molto amato e molto contestato. Ha 70 anni, ha avuto un tumore, si sente vecchio, stanco e di fatto al capolinea. Ma non smette di desiderare. Con malinconia.
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