Enrico Emanuelli
Mondadori
Sessant'anni dopo la sua nascita letteraria, la bellissima, statuaria ragazza somala ribattezzata Regina dagli italiani che subito dopo la guerra stanno cercando (con lodevole intento ma anche con esiti ambigui) di educare la Somalia alla democrazia, sta ancora lì, ineffabile, insondabile, misteriosa. Regina intriga e fa sentire colpevole il povero faccendiere italiano cui lei è stata "prestata" da un altro faccendiere italiano, perdipiù losco ed ex fascista: assente per alcune settimane, gli ha ceduto per libero uso la propria villa con tuti i servizi e i domestici, compresa Regina che di giorno fa la serva elegante e di notte la concubina per forza. Mette a disposizione il suo corpo ma non la sua anima, la sua inscalfibile e insondabile dignità di donna. Nera è la pelle di Regina, nera l'Africa, nere le notti in cui quasi sempre si svolge la trama di questo romanzo che fu pubblicato nel 1961, fece discutere, ebbe successo e poi fu dimenticato. Con merito oggi Mondadori lo ha riedito dopo sessant'anni, con una prefazione della studiosa italo-somala Igiaba Scego (da leggere però dopo, non prima di aver letto il romanzo). Enrico Emanuelli fu un importante giornalista e uno scrittore di rilievo. Il suo romanzo, dopo tanti anni, "tiene". Assieme a "Tempo di uccidere" di Ennio Flaiano (più denso e più complesso, qua e là di grande forza ma qua e là anche più datato e insistito) il libro di Emanuelli è una delle pochissime opere che la narrativa ha dedicato alla presenza italiana (d'occupazione e molto spesso di repressione) in Somalia (o in Libia, o in Etiopia). Nella vicenda del libro la guerra è già finita, l'Italia fascista l'ha persa e ha perso la propria colonia africana ma la comunità internazionale (l'ONU) in previsione della piena indipendenza della Somalia, ha pensato di mandare per qualche anno in Somalia, fino alla fine degli anni '50, dei tecnici, esperti e uomini d'affari italiani con l'incarico di "preparare" quella nazione alla democrazia. E così si reitera sotto altra forma il dominio culturale, economico e psicologico di una "razza superiore" su una ritenuta inferiore. Lo sfruttamento ambiguo e tanto più sottilmente prepotente dell'uomo bianco italiano sulle donne indigene è palese. Il protagonista del romanzo, che già di suo esercita una professione forse necessaria ma ripugnante (sovrintende alla cattura di scimmie, imprigionate vive in gabbie e spedite per via aerea negli Stati Uniti dove saranno vivisezionate per la ricerca di un vaccino contro la poliomielite) a poco a poco si rende conto di questa prepotenza sorda, non appariscente ma grave. Forse l'essere invaghito fortemente di Regina lo aiuta a capire: vorrebbe che la donna non gli cedesse solo l'automatismo del corpo passivo ma che le si muovesse dentro qualche moto d'affetto. Ma si accorge che Regina è inafferrabile. Il romanzo viaggia con una scrittura nervosa, attenta alla crisi di coscienza del personaggio centrale ma anche a cogliere il buio, gli odori, le voci e i versi degli animali, i bagliori delle luci sparse delle notti africane e l'assolata afa della savana diurna. Alla fine la coscienza ridestata del protagonista è quasi una redenzione e il romanzo suona come una denuncia che vale per allora ma rimane d'attualità perché il pregiudizio razziale e la prepotenza socio-etnica sono sempre accesi anche oggi.
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