Anna Felder
Armado Dadò editore
Siamo negli anni Sessanta, la protagonista del romanzo è una insegnante migrata dall'Italia nell'altopiano argoviese a non far scordare la lingua madre ai bambini degli operai italiani che in quegli anni arrivano in gran numero per lavorare in Svizzera. Anna Felder racconta le umanissime nervature dello straniamento migratorio: quello della protagonista, innanzitutto, che raggiunto il fratello in Svizzera lascia in patria una madre, una radice, una intensa storia d'amore perduta. E poi quello delle famiglie italiane intercettate in Svizzera, con il loro impasto di nostalgia e di provvisorietà, con l'inevitabile trama di sottili lontananze reciproche nel rapporto con gli svizzeri indigeni. I bambini italiani spesso parlano già schwitzerdütsch, oscillano senza troppa consapevolezza fra le due appartenenze; più amara e difficile l'integrazione dei loro genitori. Talvolta poi le famiglie italiane rientrano in patria, la maestra vede sparire per sempre ragazzini cui si era affezionata, la migrazione sposta e cancella luoghi, destini e rapporti. L'insegnante cerca di avvolgere nell'abbraccio didattico anche la forza affettiva di una tenera condivisione. Vuole bene ai bambini cui insegna e loro vogliono bene a lei, la accompagnano dopo la scuola fino alla stazione a prendere il treno. La maestra insegna in cittadine e borghi e disvela la dimessa, umana presenza di italianità umile e laboriosa dentro il tessuto elvetico efficiente, talvolta risale scale di legno in vecchie case, entra in appartamenti angusti e squallidi, sente l'odore di povertà mescolato con l'acre sapore della malinconia e di una estraniazione difficile da sciogliere. Ci sono però anche incontri cauti e poi fervidi fra emigrati, svizzeri tedeschi, ticinesi. Anna Felder annota atmosfere, gesti, sensazioni, senza pretesa di giudizio analitico: è una narratrice e non una sociologa e usa lo strumento della scrittura per darci ritratti e paesaggi detti con sensibilità e cura, con una attenzione fine per le sfumature psicologiche, per i tratti lievi ma precisi di luoghi e persone. Al tempo stesso l'insegnante vede nascere per sé stessa il lento avvolgimento di un amore vero ma difficile, complicato, con la linfa dell'attrazione nuova (molto bella la pagine dei due che camminano in campagna nel dopopioggia sotto alberi gocciolanti, saltellando con i passi "tra dove piove e non piove") che si mescola con la scia del lontano amore svanito in patria. Il romanzo ha una sua connotazione autobiografica: infatti la scrittrice, pur non giungendo dall'Itali (come la protagonista del libro) ma dalla Svizzera Italiana, è stata insegnante anche lei nella Svizzera tedesca, docente di letteratura italiana nel liceo di Aarau (dove oggi abita, con periodi di alternanza anche a Lugano): alcuni sentimenti, sensazioni, storie, incontri narrati nel romanzo sono indirettamete ma profondamente suoi. Felder sa dirci atmosfere verissime con tocchi essenziali. Basti un esempio, una "stube" svizzero tedesca: "un locale vasto che sapeva di sigaro, con la porta a ruota e i tavolini verdi per giocare alle carte, e tanti uomini con la pancia tra le bretelle, che giocavano in silenzio e che poi tutt'a un tratto si buttavano a gridare e a tossire forte. Le chellerine, tutte con la linguetta bianca del grembiulino di pizzo che sporgeva sulla borsa delle mance, avevano poco da fare, ma erano affaticate, si appoggiavano al banco col fianco e col gomito, e parlavano fra loro guardando i giocatori che potevano ordinare un'altra birra -la terza o la quarta Stange- da un momento all'altro, con un solo gesto, alzando in alto il bicchierone vuoto"…".
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