Barbara Pym
La Tartaruga
Barbara Pym (1913-1980) è una scrittrice che occupa un posto di grande rilievo nella narrativa inglese del "˜900. Inevitabilmente snobbata da quella parte di lettori protesi verso il nuovo e verso tinte forti, ha invece una folla sommersa di estimatori fra chi non ha cessato di prediligere i gusti più delicati, appena leggermente speziati. Fruttero e Lucentini, la rimpianta coppia di scrittori brillanti a quattro mani, l'avevano scoperta e sdoganata in Italia 30 anni fa, dicendosi entusiasti di questa autrice capace di convertire in una modernità sommessa la grande, profonda tradizione della narrativa britannica.
Le cose, nei libri della Pym, accadono senza baccano, per piccoli passi intermittenti. Finissima osservatrice psicologica, la scrittrice è rispettosamente spietata nel descrivere desideri taciuti, vaghe insoddisfazioni, egoismi spiccioli, trame sommesse, controllate paturnie affettive, pedanti atmosfere parrocchiali. Barbara Pym è impareggiabile nel mescolare il suo humor raffinato (si sorride molto, nel leggerla) con la presenza di una patina di malinconia, nella percezione del tempo che inesorabilmente passa. Nei suoi romanzi si desidera, si mormora, si intrecciano minuetti deliziosi, si bevono moltissimi tè, si spia dietro le tendine, si mettono in atto inoffensivi tranelli seduttivi. Ma soprattutto va in scena la commedia brillante e intenerita della vita normale.
In questo romanzo la protagonista in prima persona è Wilmet, elegante donna sulla quarantina sposata senza figli a un signorile funzionario ministeriale. I due vivono con la mamma di lui (una suocera benevola, originale e chiacchierina) a poche centinaia di metri dalla chiesa tipicamente londinese di St. Luke con annessa casa parrocchiale. E lì dentro ronza il piccolo alveare di parroci e viceparroci anglicani (perlopiù votati a un celibato non obbligatorio, salvo eccezioni) e di riunioni nei saloni parrocchiali con l'immancabile tè (il romanzo abbonda di tazze di tè), le torte, i pettegolezzi, le gerarchie tacite delle varie funzioni (da chi si occupa dei fiori in chiesa e delle liturgie a chi deve cucinare per i preti della canonica il merluzzo in tempo di Quaresima). Ma poi c'è anche la Londra degli anni "˜50, i ristorantini, i parchi, le rive del Tamigi. E soprattutto c'è Wilmet, con la sua tranquilla inquietudine ben controllata, la sua condizione di moglie benestante sposata a un marito gentiluomo e tuttavia pervasa, nei trasalimenti di una primavera inglese bizzarra, da enigmatiche tentazioni di amorosa evasione. Non dico di più, anche perché poi nel romanzo succede poco. Le cose accadono senza baccano, per piccoli passi intermittenti. La vita, dopotutto, si svolge nella realtà, non su un palcoscenico. A un certo punto del romanzo, di fronte all'ipotesi che sia successo qualcosa a una persona, il saggio marito di Wilmet dice: "Quel tipo di tragedia può anche capitare, certamente, ma è meglio che accada nei romanzi". Philip Roth, nel suo romanzo "La controvita", a un certo punto fa dire a una ragazza che scrive racconti: "Io non scrivo con feroce energia. Nessuno potrebbe usare ciò che scrivo come una clava. La mia è una narrativa che mostra tutte le virtù inglesi del tatto, del buonsenso, dell'ironia e della moderazione: fatalmente retrograda. Dovrei firmare questi racconti così: di una persona che appartiene a un'epoca passata." Ecco, questa è una descrizione adattissima alla Pym. E il genere può piacere moltissimo anche a chi vive nell'epoca presente.
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Einaudi, Feltrinelli