Tommaso Soldini
Casagrande
Soldini conosce la narrativa anglosassone, americana in particolare, conosce i trasalimenti, le delusioni, le piccole rabbie, le tenerezze di una generazione che viene dopo il giovane Holden e non si è fatta troppo ingannare dagli imitatori minimalisti. Soldini ha un registro suo, moderno, ritmato, spedito, con un amaro, discantato e spesso ironico spirito di osservazione. La parte che mi ha subito convinto in pieno del romanzo è la forte entrata in scena dei personaggi, ognuno con un suo stile parlato, fisicamente percepibile. Glauco, Magdalena, Davide, Maura, Esra, Martino e Simone entrano nella vita del romanzo portando ognuno i propri brandelli di storia esistenziale quasi sempre un po' da "sfigati" (come si usa dire oggi). Qualcuno è ammaccato dalla vita, dalla propria incompiutezza, da minuscoli fallimenti. Qualcuno ha avuto esperienze più dure, come la ragazza immigrata turca che in Germania ha subito violenza. Poi tutti sono qui, nella Svizzera d'oggi così vivibile e sicura ma al tempo stesso non risparmiata da labili incertezze d'esistenza. Questi brani di vite diverse si incontrano grazie alla invenzione narrativa di un appuntamento un po' misterioso. Senza rivelare nulla della trama dirò che alcuni strani volantini propagandanti una specie di soluzione esistenziale a problemi di infelicità portano i personaggi a osare, fra diffidenze e timidezze, un appuntamento conoscitivo con questa promessa di novità: c'è aria di guru, forse di imbroglio, ma l'offerta intriga e quasi tutti i protagonisti non hanno nulla da perdere, semmai qualcosa forse da guadagnare. Da lì parte la seconda parte dell'avventura, in un viaggio un po' goffo e un po' rocambolesco verso la terra strana (un "altrove" anche simbolico) di una quasi desertica località marocchina. L'esperienza sarà abbastanza scioccante, fra delusioni, risentimenti e una perdurante aria di mistero. Ognuno farà di nuovo i conti con sé stesso. Si capisce bene che questi personaggi appartengono a una età che viene dopo le ideologie e che non sa quasi più dare un nome reale alla speranza. Nessuno di loro vuole cambiare il mondo, basterebbe riuscire a cambiare un po' sé stessi, prendere in mano il proprio destino (ma è difficile). Non importa poi se la melassa del new age o le vaghe promesse magiche irretiscano in modo molto più irrazionale che non, poniamo, una scommessa di fede reale. Soldini fotografa con precisione uno sconcerto esistenziale, i suoi personaggi sono tutti un po' sconfitti e alla fine il lettore prova per loro una specie di intenerita compassione. Qualcuno, forse, ce la farà. Il canto narrativo a più voci è sempre impegnativo e Soldini è riuscito a far convergere vite diverse con accenti diversi nella parte più felice del romanzo. Colpiscono anche alcune scene un po' stralunate e inquiete fra le sabbie calde del Marocco, anche se gli esiti finali delle trame mostrano qualche snodo troppo rapido. Un appunto: la scena del banchiere un po' cinico che sbriga la corrispondenza tenendo sulle ginocchia la segretaria smutandata è scontata e di maniera. Se fosse stata pensata in modo caricaturale, allora doveva essere ancor più grottesca. E la frase (peraltro detta da un personaggio) secondo cui "ci sono più uomini liberi tra i detenuti dei centri per richiedenti l'asilo che nelle aule parlamentari" sa un po' di Beppe Grillo. A parte ciò, saluto in Tomaso Soldini uno scrittore vivo, interessante per forza di ritmo, per una sua musicalità discorsiva, per il modo nuovo che ha di portare in superfice i disagi e le quotidianità (spesso amare o patetiche) di un certo sconcerto esistenziale, magari di minoranza, magari d'eccezione, ma rivelatore di un' aura del tempo nostro.
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