"‹John Steinbeck
Bompiani
"Vicolo Cannery", pubblicata da Bompiani, fu una delle ultime operedello scrittore: singolarmente più spigliata, direi sapientemente leggera rispetto ai grandi romanzi che lo avevano consacrato come uno dei maggiori narratori d'America e del mondo (apparentato a questo "Vicolo Cannery" si può evocare anche "Pian della Tortilla", scritto cinque anni prima, parimenti lieve e speziato di umorismo). Qui ci si diverte, qui si annusano odori d'America popolare, brulicante, umile e sanguigna e candida al tempo stesso. E' un piccolo mondo di Californianon ancora lambito dalla tecnologia e da Hollywood, abitato e agitato senza frastuoni ma con allegrezza da pescatori ruvidi, giocatori scaltri, esseri marginali, ruffiani e altra compagnia di giro, di varia radice e razza. In mezzo a questo brusìo di gente che deve tirare la cinghia e si diletta di robuste bevute e conseguenti chiacchiere immaginose, spicca la figura di un Dottore un po' misterioso e solingo, che viene da un'altra storia sociale ma si apre con animo giusto a quella realtà popolana e genuina. Alla fine, tracannando una quantità impressionante di galloni di vino e dandosi da fare, parlando, trafficando, inventando, quasi danzando una vita di basso profilo ma di grande gusto, questi piccoli eroi quotidiani riescono persino a strappare lampi di salvezza, di dignità, di esito buono, il tutto con il viatico di un umorismo che è cifra di giudizio e di senno giusto. La dimensione drammatica, sociale, sempre presente in Steinbeck, cantore in prosa della grande Depressione e del destino dei poveri, viene qui continuamente innaffiata, oltre che dal vino, anche da una cadenza colorita e comica. E' anche un po' un mondo di matti e di affabulatori: "Henri il pittore non era francese e non si chiamava Henri. E in realtà non era nemmeno un pittore. A forza di interessarsi delle storielle della Rive Gauche di Parigi, ci viveva, benché non ci fosse mai stato". E intorno respira un paesaggio vero, ricco di lucide luci mattutine o grigi pomeriggi con sfondo di campi, tetti, fabbriche, quasi dei quadri di un americano di vent'anni più vecchio di Steinbeck, Edward Hopper.
Due passaggi esemplificativi, per finire. Dapprima una riflessione amara su una specie di "rovescio" morale che accade spesso nella vita corrente degli uomini:
"..le cose che ammiriamo negli uomini, la bontà, la generosità, la franchezza, l'onestà, la saggezza e la sensibilità, sono in noi elementi che portano alla rovina. E le caratteristiche che detestiamo, la furberia, la cupidigia, l'avarizia, la meschinità, l'egoismo, portano al successo. E mentre gli uomini ammirano le prime di queste qualità, amano il risultato delle seconde". Per fortuna poi però esiste la "povera, ricca" gente raccontata e amata da Steinbeck in "Vicolo Cannery":
"Guardateli. Ecco i veri filosofi. Credo che Mack e i ragazzi sappiano tutto quello che è accaduto a questo mondo e forse anche quello che accadrà. Credo che sopravvivano in questo nostro mondo meglio dell'altra gente. In un'età in cui la gente lavora per ambizione, per nervosismo, per avidità, loro riposano. Tutti i cosiddetti uomini che hanno successo sono malati, con lo stomaco e l'anima malandati, ma Mack e i ragazzi sono sani e stranamente puri. Possono fare quello che vogliono. Possono soddisfare i loro appetiti senza dare ad essi un altro nome".
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