2024
Joseph Conrad
Einaudi
In una notte di tempesta un bastimento fa naufragio al largo dalla costa del Kent inglese. Periscono tutti salvo un naufrago, quasi miracolosamente scampato al disastro: quell’uomo si salva a stento riuscendo a nuotare sino a riva, poi vaga nel buio, scorticandosi mani, gambe e volto, stremato dalla fame e dalla sete. Giunge ad aggirarsi ai bordi di una fattoria, viene scoperto. È un uomo strano, volto bianco, occhi scurissimi, parla una lingua che nessuno capisce e lui non capisce nessun’altra lingua. Lo rinchiudono in una stalla, lo temono. Quella è una terra di contadini, fattorie sparse, piccoli villaggi. La gente diffida di questo essere bizzarro, forse è un matto, forse persino un bandito, un criminale. Così diverso da tutti. Lui, spaurito, diffida a sua vota di quella congrega di uomini e donne che non lo capiscono. Non v’è contatto di lingua o di simpatia; il naufrago perlomeno deve essere cristiano perché si fa spesso il segno della croce ma il suo cristianesimo deve essere di forme e cultura diverse rispetto al rigoroso culto anglicano del Kent. Ci sono, soprattutto, timore e diffidenza ostile. Eppure quell’uomo poi dimostra di saper zappare la terra e badare alle greggi, dà una mano, incute un po’ meno paura, ma sempre è circondato da un alone di diffidenza. Una ragazza, Amy Foster, un po’ introversa, sembra muoversi a compassione per il “diverso”, prova persino un moto amoroso. Ma anche lei teme, dubita (chissà, forse quell’uomo è davvero potenzialmente pericoloso perché misterioso, strano, diverso?). Sembrerebbe un apologo scritto apposta per questi tempi nostri di grandi mescolanze etniche e di grandi diffidenze. Ebbene, questo mirabile racconto denso, allusivo e anche commovente fu scritto nel 1901, 123 anni fa. Ne fu autore un grande della letteratura mondiale, Joseph Conrad, (1857-1924) di cui ricorre proprio quest’anno il centenario della morte. La vicenda si dipana in un suo seguito di eventi, pochi ma essenziali e decisivi. Alla forza della scrittura conradiana (sembra il lavoro di uno scalpello abile che lavora la creta per ricreare il reale immaginato) si aggiunge la struttura originale del racconto: l’io narrante è un testimone esterno, giunto dal mare sulle coste del Kent per far visita a un suo amico medico, il dottor Kennedy, il quale a sua volta aveva navigato anni sui bastimenti dei mari del mondo prima di approdare nella terra delle sue radici per diventare medico condotto. Ed è il dottor Kennedy, anni dopo i fatti, a raccontare al suo ospite la vicenda di Yanko (infine anche il quasi “selvaggio, il “diverso”, avrà un nome). Questi passaggi di rimandi narrativi (un io narrante in prima persona che riferisce, distaccato, il racconto empatico in terza persona di un narratore il quale dal canto suo riferisce indirettamente fatti di cui fu testimone) conferiscono alla prosa di Conrad il fascino del racconto orale tramandato, della mescolanza di tempi tra fatti e memoria. Conrad fu per anni uomo di mare (e memorabili sono i suoi romanzi e racconti di mare e lontananze). In questa sua breve opera i fatti avvengono nel piccolo cerchio di una terra rurale ma dal mare giungono i protagonisti: il narratore in prima persona, il medico che racconta i fatti, il naufrago scampato. Ma se i primi due ritrovano a terra radici sicure e condivise, il terzo naufraga in un territorio di diffidienza, paura, ostilità. L’incomunicabilità, poi, a causa della lingua sconosciuta del naufrago e delle altre lingue a lui sconosciute, rimanda alla storia personale e geniale di Joseph Conrad. Lo scrittore, polacco nato e cresciuto da ragazzo in Polonia, rimasto presto orfano e allevato da parenti in sospetto di moti rivoluzionari, fu fatto rifugiare in Francia, dove imparò la lingua francese. Passò in terra britannica, viaggiò per terra e per mare, imparò cosi bene l’inglese al punto di scrivere poi in quella lingua i suoi grandi racconti e romanzi. Una storia eccezionale. La “diversità” e la fondamentalità delle lingue come legame irrinunciabile di spirito, cultura, umanità e civiltà furono per Conrad “carne viva” della sua esistenza. Il riverbero di ciò lo si respira nella incomunicabilità linguistica come dramma nel bel racconto “Amy Foster”, che sta per compiere 125 anni e resta contemporaneo e vivo (nuova traduzione Einaudi di Susanna Basso con prefazione di Hisham Matar, scrittore libico; ma è in commercio anche una traduzione dell’editore Passigli).
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