Circolo dei Libri

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25novembre
2016

Alice McDermott

Ed. Einaudi (Narrativa straniera)

Di Alice McDermott abbiamo presentato il recente suo romanzo "Qualcuno". E prima ancora avevamo parlato di "Il nostro caro Billy". In questo altro suo libro la brava scrittrice americana di origine irlandese ci consegna una prova felice di quella che la romanziera ottocentesca George Eliot chiamava la grande "epica umana", e cioè quella trama di eventi privati, legami familiari, tenerezze, speranze, delusioni, nostalgie che costituiscono l'impalcatura non vistosa ma fondamentale della vita e si confrontano con l'inesorabile trascorrere del tempo, che tutto cambia e tutto mantiene, tutto fa trascolorare e tutto fa ricordare.
La storia, come sempre, non ve la racconto (e del resto avvenimenti memorabili non ce ne sono: forse uno, con anelli concentrici di emozioni nel tempo). E non ha molta importanza diretta lo sfondo politico-sociale, che è quello dell'America degli anni '60 e '70: la guerra in Vietnam, per esempio, si incarna in modo sensibile soltanto quando una cartolina di precetto chiama i ragazzi di casa ad andare in Indocina a rischiare la vita. E le grandi evoluzioni culturali (il femminismo, la sessualità, i costumi) si riverberano solo indirettamente su gesti, atteggiamenti e pulsioni personali. Alice Mcdermott tralascia il grande sfondo e coglie le venature di una saga familiare con sguardo minuzioso, implacabile ma anche compassionevole e con sapienti salti di tempo. La famiglia Kean è cattolica, di origine irlandese, di media borghesia americana, vive a Long Island (New York), manda i figli a scuola dalle suore, partecipa alla vita di parrocchia e vive una socializzazione di quartiere a case monofamiliari con giardini ben curati. Le ansie protettive dei genitori per i figli che crescono e sfuggono, il timore per il loro destino, i mugugni e le complessità dei ragazzi, i pasticci sentimentali, gli amoreggiamenti goffi, gli appannamenti coniugali, tutto viene raccontato in una minuziosa presa diretta di fatti e sensazioni e dialoghi a basso profilo. E anche il vento impetuoso d'aprile, le estenuate piogge autunnali e i cieli rossi della sera diventano coreografia per queste istantanee familiari. La narrazione è magistrale, la scrittura è essenziale e ricorda certi dipinti di Edward Hopper, pieni di personaggi solitari, luci e attese ("Solo lui, di nuovo, appoggiato vicino alla porta, in giacca e cappello di feltro floscio, la luce tremendamente dorata"… Fumava una sigaretta. Era l'uomo più attraente di tutto l'isolato. Aspettava lei"). Ma questa prosa scarsa di aggettivi ogni tanto si inalbera, barocca: "Che sorriso, aveva. Se quello della moglie era sottile, sardonico, indulgente, consapevole, il suo era affettuoso, divertito, soddisfatto e schivo a un tempo". Un bel romanzo dove una vena di fondo di tristezza (la condizione umana?) è riscattata dalla dignitosa redenzione delle piccole cose, della vita "nonostante tutto".