2011
Ernest Hemingway
Ed. Mondadori (Narrativa straniera)
Mondadori aggiunge un sottotitolo ("edizione restaurata") per questa nuova uscita di "Festa mobile", un pezzo di autobiografia di Hemingway che ha la stoffa di un vero romanzo. Era uscito postumo nel 1964 (lui è morto nel 1961) e racconta gli anni febbrili, poveri e creativi in cui lo scrittore visse a Parigi. "Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna, perché Parigi è una festa mobile", aveva scritto in una lettera Hemingway. Da qui il titolo scelto dalla vedova Mary Welsh, che fu la terza moglie di Hemingway e che si prese la libertà di togliere alcuni passaggi troppo sentimentalmente privati e di mutare l'ordine dei capitoli. Due anni fa il nipote di Ernest, Sean Hemingway, ha deciso di ripristinare i testi del nonno nella loro totalità e cronologia. Ecco dunque nella sua integrale originalità questo libro (di un Hemingway in piena forma) che fra l'altro deve essere piaciuto molto a Woody Allen, il quale nel suo "Midnight in Paris" lo cita e lo evoca con una sua geniale invenzione di narrazione cinematografica. "Festa mobile" ci parla della Parigi degli anni Venti, quelli trascorsi dal giovane scrittore a Parigi, dove aveva incontrato il talento e le sregolatezze di personalità forti come James Joyce, Francis Scott Fitzgerald e molti scrittori, artisti, perdigiorno europei e americani: e la grande e temibile francese Gertrude Stein, severa giudice, stimata e bistrattata nel romanzo. Hemingway sta con la prima moglie e il bambino " in una stanza che guardava su tutti i tetti e i camini dell'alta collina del quartiere, era un piacere. Nella stanza il camino tirava bene, faceva caldo e era un piacere lavorare. Vi portavo mandarini e caldarroste in imbuti di carta". Oppure andava in un caffè: "Era un caffè simpatico, caldo, pulito e accogliente, e io appendevo il mio vecchio impermeabile all'attaccapanni per farlo asciugare, e posavo il cappello di feltro, logoro e stinto, sulla rastrelliera sopra il sedile e ordinavo un café au lait. Il cameriere lo portava e io toglievo dalla tasca della giacca un taccuino e una matita e mi mettevo a scrivere"…Il racconto si scriveva da sé e io facevo fatica a non restare indietro"…". Sono memorie di bellezza respirata agli angoli delle strade parigine o davanti ai capolavori degli impressionisti, nei bistrot e nelle soffitte dove si discute, ci si accapiglia sull'arte e sulla vita, si beve, si ama. Poi c'è la parentesi sulle nevi austriache, le indimenticabili settimane fuori dal mondo, le lunghe sciate in altitudine, il tepore delle baite, i passi scricchiolanti sulla neve, le luci dei villaggi al crepuscolo, l'intesa intima ed esclusiva con la moglie. E, di nuovo, Parigi: " Ma Parigi era una vecchissima città e noi eravamo giovani e là nulla era semplice, nemmeno la miseria, né il denaro insperato, né la luna, né la ragione e il torto né il respiro di chi i giaceva accanto sotto la luna".
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