2012
Anne Tyler
Guanda
Anne Tyler, 71 anni, ha pubblicato in 50 anni di scrittura venti romanzi, per fortuna tutti tradotti in italiano da Guanda. Da anni sostengo che lei è una dei maggiori autori anglosassoni contemporanei e paragono senza timore la sua prosa minimalista e minuziosa, delicata e realista alla vena narrativa di un Cecov. Anche questa volta la scrittrice di Baltimora non si smentisce e ci offre una storia bella e commovente, in cui il dolore dell'assenza (la ferita profonda e interiore di un lutto) fa i conti con la quotidianità della vita che continua e si addolcisce dentro un tempo nuovo che nulla cancella di ciò che fu ma che rilancia il miracolo del vivere. Tyler riesce a presentarci con una concretezza realissima e insieme tenera e talvolta comica il vedovo Aaron alle prese con il contorno di parenti e amici che cercano di consolarlo (o di sfuggirlo per imbarazzo, dipende) e che si imbatte nei luoghi comuni inevitabili e anche volonterosi ("la vita continua", "devi fartene una ragione", "perché non vieni una di queste sera a cena da noi?" "ti ho preparato una teglia di pasta"). Lui deve vivere il ritmo del suo proprio tempo, senza troppe intrusioni. Deve far fronte ai guizzi di memoria, alle dolci visioni (reali, immaginate? È poi importante saperlo?), alla fatica che soltanto lui può sbrogliare. Non posso, lo ripeto, dire nulla della trama per non rovinare la conoscenza privata che il lettore deve fare con Aaron e la sua storia. Ma posso dire che ancora una volta Anne Tyler sa raccontare la vita nei suoi battiti comuni e tuttavia mescolati con scaglie di miracoli minimi e importanti: Aaron è sulle difensive come un riccio, geloso delle proprie disgrazie ma a poco a poco anche aperto al respiro buono del mondo attorno a lui, della vita che lo avvolge. Questo è un romanzo che commuove, provvisto di una sua moralità autentica, senza retorica. Che dire? Mi ripeto: c'è, qui, una grazia cecoviana.
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Pierre Girard
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