Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

04febbraio
2012

Dino Buzzati

Ed. Oscar Mondadori (Narrativa italiana)

40 anni fa moriva Dino Buzzati. Uno scrittore importante, un grande giornalista. Qui parlo di una novità che lo riguarda ma naturalmente si dovrebbero leggere o rileggere i suoi libri ormai classici. Per esempio "Il deserto dei Tartari", lucidissima narrazione quasi metafisica del concetto dell'inquieta attesa dell'uomo, del suo sogguardare se mai avanzi da lontano la temuta sagoma del nemico, del mistero. Oppure "Un amore", storia dura e tenera di un amore ossessivo, sbagliato ma non per questo meno intenso, doloroso come un piacere che morde il cuore. Io poi da anni raccomando i racconti, che sono splendidi, spesso brevi e crudi come un pugno, spesso ironicamente dolci, spesso pieni di mistero. Ci sono in giro parecchie raccolte, una molto buona è "Il meglio dei racconti di Dino Buzzati", Mondadori. Ora però è appena uscito un cofanetto con due volumi che raccolgono i moltissimi scritti che Dino Buzzati dedicò alla montagna, suo grandissimo amore. E si tratta di racconti tipicamente buzzatiani, e poi articoli, cronache di salite, sciate, arrampicate sue ma anche di grandi alpinisti, fra cui quelle del suo amico Wlter Bonatti. E ci sono riflessioni profonde, disquisizioni di tecnica alpinistica, ricordi di uomini, imprese, cime sognate, toccate, corteggiate. Ha curato i volumi e la bella introduzione Lorenzo Viganò, il quale dice come la passione di Buzzati per la montagna sia stata totalizzante per tutta la vita. A quattordici anni Dino già compone un inno suo, "La canzone alle montagne" ("purissime nelle albe violacee/frementi negli arrossati tramonti") e a diciassette scrive a un amic "Ora mi sembra di non poter essere felice che sulle montagne e di non desiderare che quelle". Moltissimi anni più tardi, pochi mesi prima di morire, già malato, Dino Buzzati vuole tornare a rivedere le sue amatissime Dolomiti: "ad un tratto ho visto risplendere lontanissime al nord le montagne di vetro, pure, supreme, dove mai più (salirò); cari miraggi di quand'ero ragazzino rimaste intatte ad aspettarmi e adesso è tardi, adesso non faccio più in tempo". Le Dolomiti per Buzzati erano un desiderio, quasi una metafora dell'ineffabile destino dell'uomo, del suo anelito di senso e di mistero. Le descrisse a parole, le dipinse, le amò nel loro colore inafferrabile: "più che un colore preciso si tratta di un'essenza, forse di una materia evanescente che dall'alba al tramonto assume i più strani riflessi, grigi, argentei, rosa, gialli, purpurei, viola, azzurri, seppia". Ma poi Buzzati parla anche delle Alpi, dell'Himalaya (la drammatica conquista del K2) di tutto quel mondo alto e verticale e faticosamente raggiungibile e limpido e puro, offerto alla piccolezza dell'uomo come per dargli un assaggio enigmatico di infinito, di desiderio totale di bellezza. Il rapporto di Buzzati con la montagna è un rapporto d'amore e ha qualcosa di sublime che va oltre l'alpinismo e i panorami.