Circolo dei Libri

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29novembre
2019

Giuseppe Berto

Neri Pozza

Berto (1914-1978) appartiene a giusto titolo ai protagonisti della narrativa italiana del Novecento.Lasciamo qui da parte il suo romanzo più celebre, spiazzante, innovatore, molto letto, molto discusso, molto premiato, "Il male oscuro", sul quale dovremo tornare. Parliamo ora invece del primo romanzo di Giuseppe Berto, "Il cielo è rosso", che è la storia di quattro ragazzi adolescenti rimasti soli, sbandati e randagi tra le rovine di una città bombardata negli anni '40, muniti della resistenza istintiva e affettiva per acciuffare nonostante tutto la vita: quattro "sciuscià" goffi e smarriti e anche generosi. Un libro da leggere, per salvarlo da una ingiusta dimenticanza. Scritto nel 1946 e pubblicato nel 1947, "Il cielo è rosso" fu di fresca modernità per allora, una coraggiosa prova di narrativa chiara, ritmata, con un suo originale neo-realismo mutuato dai timbri narrativi americani che cominciavano a circolare. Il romanzo ebbe la sua febbrile genesi, in pochissimi mesi, nel campo di prigionia americano dove il soldato Giuseppe Berto era finito. Lontano dalla patria, dalla quale alla fine della Guerra udiva echi di disastri immani, Berto immaginò questa storia nelle sue terre d'origine e ri-creò la tragedia della cittadina di Treviso bombardata violentemente, con interi quartieri popolosi rasi al suolo. Carla, Giulia, Tullio e Daniele sono quattro giovani al confine con l'adolescenza (perlopiù con tristi radici di povertà e aridità d'affetti) che il destino mette insieme nel momento della tragedia comune. I loro familiari sono periti sotto i crolli e il quartiere dove abitavano è diventato un cimitero: molti corpi sono stati estratti dalle rovine ma altri, molti, rimangono sotto le macerie. Ai bordi di quel "camposanto" di calcinacci e morti si accampano i ragazzi, rimediando rifugi di fortuna, arrabattandosi per trovare cibo e per continuare a vivere. Nasce tra loro una intensità di legami di necessità e di affetti e il disastro sullo sfondo e la miseria non impediscono all'età di far fiorire le solite sensibilità, gli innamoramenti, i desideri, le nostalgie. E poi la calda speranza e l'aspro dolore. La vita è agra, non fa sconti. Bisogna arrangiarsi, anche al confine con la legalità e con la cosiddetta moralità. Ma il fiotto di vita di questi "sciuscià veneti" è palpabile ed emozionante. La scrittura di Berto evoca risonanze hemingwayane, indiscutibili; ma ricorda anche per una analogia indiretta (di narrazione, atmosfere, giovinezze ferite) Carlo Cassola e la sua "Ragazza di Bube", romanzo coevo. "Il cielo è rosso" possiede un suo palpito continuo di tensione e attrazione, trasmesso al lettore, il quale ne diventa emotivamente partecipe. Il romanzo è in qualche modo l'apripista di tutta una narrativa italiana ridestatasi dopo la Guerra, che si soffermerà negli anni successivi sulle ferite del conflitto, la lotta partigiana, la "guerra civile".