Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

28aprile
2017

Sandro Campani

Einaudi

Che stia fiorendo in qualche modo un ciclo di "romanzi italiani di montagna"? Di recente abbiamo goduto la rivelazione di Paolo Cognetti, autore di "Le otto montagne" (Einaudi): un romanzo di montagna senza la retorica della montagna, vero e lucido, essenziale come le rocce, i prati verticali e le nevi delle alpi (chi cammina in altura sa bene che lassù non si accettano sentimentalismi ma solo asprezza e bellezza, ebbrezza o dolore). Adesso ecco un nuovo romanzo di montagna, a modo suo. Con meno vette e più paese. Questa volta siamo in mezzo ai monti dell'Appennino tosco-emiliano, dove è nato e vive Sandro Campani, scrittore 43enne al suo quarto romanzo (i primi non li ho letti, cercherò di recuperare, verificare). C'è stoffa, qui, c'è novità espressiva. C'è una storia intensa. Due uomini, uno più anziano, l'altro più giovane, in una sera d'inverno stanno in cucina, davanti al camino. Parlano, parlano. Sono davanti al fuoco, bevono adagio della grappa. Il più anziano, Giampiero, segna con la matita una riga sulla bottiglia: è il limite oltre il quale la grappa non andrebbe più toccata, tanto più che Davide, il più giovane, ha il vizio di alzare troppo il gomito. Di tanto in tanto uno dei due si alza e mette un ciocco di legno sul fuoco per ravvivarlo. Fuori fischia un vento forte e freddo. I due devono dirsi tante cose, sciogliere molti nodi che si erano raggrumati nel corso degli anni attorno alla loro amicizia. È come una confessione, che si fa sempre più intensa, al punto che occorrerà tracciare una nuova linea, verso il basso, sulla bottiglia. Fuori, nel buio gelido, dentro il fitto del bosco, si pensa che la lince dagli occhi gialli (intravista da qualcuno) stia vigilando: è mistero notturno, attesa, simbolo della parte in ombra della vita? Quella della lince (forse mito ancestrale) è comunque soltanto una piccola, vaga, presenza nel romanzo. Che invece svolge a pieno ritmo narrativo la sua trama di rapporti umani, affettivi, familiari, sentimentali. Due mestieri abbracciano la storia: quello dell'apicoltore e quello del falegname: due materie vive, calde. Le api sono operose, dal nettare creano il miele, il legno è odoroso e venato, come vivo sotto la sega e la pialla e la creazione dell'uomo falegname. Miele e legno, natura. Poi c'è il paesaggio vivido, fatto di boschi e villaggi, resti di civiltà contadina e capannoni industriali, bar abituali e stradine in salita. Lasciando l'intreccio al lettore, dico soltanto che nella rievocazione raccontata a più voci vanno in scena le storie lunghe (negli anni) di complessi rapporti padre-figlio e uomo-donna, amore, amicizia, vocazioni e delusioni, desideri e fallimenti sentimentali La drammaticità privata, non violenta, quasi quotidiana e silenziosa, di nervature difficili, si allarga poi verso una pacificazione più persuasa, un "farsi bastare" le ferite cicatrizzate per salvare , nonostante le ammaccature, il buono della vita. Giampiero e Davide, quasi una paternità. Uliano e Davide, una paternità bloccata. Davide e Silvia, un amore forte e dissipato. Giampiero e Ida, un legame per sempre. E la libertaria Guliana, che ha intravisto di notte la lince"….: leggendo il romanzo imparerete a conoscere quella gente radicata con i propri grovigli e scioglimenti lassù in un luogo, sulla dolce, ma anche aspra montagna dell'Appennino.