2025

Francis Scott Fitzgerald
Einaudi
1925, 2025, cent’anni di un romanzo entrato nell’iconografia quasi mistica dei grandi libri cult. Ci ha messo del suo, in questa aura di celebrità, il grande cinema. Ma spogliato delle sue patine hollywoodiane e anche del suo alone di romanzo della “età del jazz”, “Il grande Gatsby” resta uno dei grandi libri novecenteschi, e anche l’esito più felice della fioritura narrativa di Francis Scott Fitzgerald (1896-1940). Certamente conta il rimando appunto alla “età del jazz” (dal titolo di una raccolta di racconti di Fitzgerald) ossia di quell’epoca sospesa e breve, libera e trasognata, che sta fra la fine della prima guerra mondiale e la tremenda crisi finanziaria e sociale. Si liberano i costumi, si beve alcol smodatamente, si spera nella febbrile spirale ascendete di un progresso economico ed esistenziale spalancato su grandi speranze e dunque prima o poi su inesorabili disillusioni. Quella generazione “gatsbiana” rincorre il piacere di vivere e tuttavia non acciuffa la felicità del vivere. Ma il romanzo è, a dispetto di ogni eccessiva collocazione socio-ambientale, un romanzo d’amore. Un amore struggente e bloccato, che è quello di Jay Gatsby, diventato ricco con affari promiscui di risonanza gangsteriana e innamorato perdutamente sin da giovanissimo di Daisy, ragazza sfuggitagli e finita in moglie al ricco Tom Buchanan. Gatsby, ricco e triste, si regala una splendida villa a Long Island, New York, con vista sull’altra costa, dove abita Daisy: scopo totalizzante e segretamente ossessivo della sua vita è quello di riconquistare Daisy, di averla, di riaverla. Ecco un assaggio intenso e bello di questa passione sospesa, in attesa, nel ricordo di un remoto bacio di allora, quando Daisy non era ancora stata perduta… Jay Gatsby, dunque, ricco malinconico, gangster annoiato e febbrile, teso al perduto amore di una vita, ricorda (ad evocarlo è Nick Carraway, il narratore-osservatore del romanzo) il primo sfiorarsi con Daisy: “…una notte d’autunno, cinque anni prima, avevano passeggiato lungo una strada. Cadevano le foglie. Erano giunti a un luogo dove non c’erano alberi e il marciapiedi era bianco sotto il chiaro di luna. Qui si erano fermati, e si erano voltati l’uno verso l‘altra. Era una notte fresca; c’era quell’esaltazione misteriosa che viene durante i due cambiamenti di stagione dell’anno. Le luci tranquille delle case ronzavano nell’oscurità; c’era un fruscìo e un bisbiglio tra le stelle. Con la coda dell’occhio, Gatsby vedeva che gli edifici sui marciapiedi costituivano una vera e propria scala e salivano a un luogo segreto al di sopra degli alberi; poteva arrampicarvisi e, se lo faceva da solo, una volta in cima avrebbe potuto succhiare la linfa della vita, trangugiare il latte incomparabile della meraviglia. Il cuore gli batté sempre più in fretta mentre il viso bianco di Daisy si accostava al suo. Sapeva che baciando quella ragazza, incatenando per sempre le proprie visioni inesprimibili all’alito perituro di lei, la sua mente non avrebbe più spaziato come la mente di Dio. Così aspettò, ascoltando ancora un momento il diapason battuto da una stella. Poi la baciò. Sotto il tocco delle sue labbra Daisy sbocciò per lui come un fiore, e l’incarnazione fu completa.” La citazione è lunga ma ci voleva. Fitzgerald accenna in forma quasi lirica a metafore che rivoluzionano le leggi fisiche, per esempio attribuendo un ronzio alle luci serali delle finestre e addirittura un fruscìo e un bisbigliare alle stelle. E ha la forza di chiamare “latte incomparabile della meraviglia” quella luce notturna blu e lunare, alta sopra le grandi case, irraggiungibile, per lui una struggente e desiderata sensazione di eterno, di mistero, quasi una percezione di Dio. Gatsby aveva paura di rovinare quella desiderosa attesa, quello struggimento, con la prosaicità altrettanto desiderata del bacio. Ma alla fine cede e il desiderio spirituale si incarna. Gatsby, oltre la inevitabile maschera di tutti i Robert Redford o i Leonardo Di Caprio di questo mondo (peraltro attori bravissimi) resta nel nostro immaginario di lettori come un ineffabile gangster elegante e innamorato, dal passato oscuro, che sta con il suo abito da sera, nella notte di velluto, alla terrazza della sua splendida casa e guarda di là dall’acqua le luci tremolanti dell’altra riva, dove sta lei. Due mondi. C’è odore di sera calda, di erba dei giardini annaffiata, di whiskey e sigarette costose, c’è aria di jazz, trombe tristi, languidi sassofoni. E la malinconia di destini incrociati e sbagliati, degli amori svaporati o ritornanti, guadagnati e perduti. Non conta la trama, non conta l’esito, abbastanza truce. Conta il concerto bello e dolente della scrittura di Francis Scott Fitzgerald.
- Libro precedente
La linea d’ombra
Joseph Conrad
Einaudi