2019
Graham Greene
Sellerio
"C'è un treno che viaggia e attraversa mezza Europa, su questo treno un'umanità spaventata, insicura, dubbiosa, tragica e dolente. Il paesaggio fuori è invernale, innevato, poca luce quando ce n'è, rigido, freddo, deprimente. I destini dei personaggi si intrecciano fra gli stridori delle rotaie, le fermate nelle stazioni, sembrano tutti correre verso l'iceberg che li attende di lì a qualche anno". Non si poteva meglio di così sintetizzare subito all'inizio, come lo fa il giallista Antonio Manzini (sì, quello del vicequestore Rocco Schiavone) "Il treno per Istanbul " di Graham Greene nella bella prefazione alla sua riedizione, appena uscita da Sellerio. L'immagine simbolica dell'iceberg richiama - il romanzo fu scritto nel 1932 - quel che di lì a pochi anni sarebbe capitato in Europa, funestandola. Il treno è il mitico Orient Express, che tanta narrativa ha nutrito, da Agatha Christie fino a Ian Fleming, e corre fra Ostenda, sulla riva belga dell'Atlantico, verso Istanbul, passando da Colonia, Norimberga, Vienna, Belgrado.A bordo del treno ci sono uomini e donne affannati o sfiancati o illusi o calcolatori inseguendo i loro destini. Greene ha allestito in questo romanzo una messa in scena quasi teatrale, un intreccio pieno di sorprese, coincidenze, svolte, mescolando quelle vite individuali dentro il magma del caso, e poi delle astuzie, delle passioni carnali ma anche degli ideali. E così incontriamo la ballerina di varietà , fragile e impaurita dalla vita, che viaggia verso un teatro di Istanbul, la giornalista tenace e appassionata agli scoop ma anche ai suoi amori saffici, e poi un giovane e ricco mercante ebreo che comincia ad annusare nell'ara cupi segnali di antisemitismo, un comunista clandestino che cova un sogno di rivoluzione improbabile, uno scassinatore armato e altri personaggi ancora, alcuni meschini, borghesi egoisti, altri più enigmatici, oppure appena disegnati.Ablissimo è Greene nel fare incrociare i segmenti di queste esistenze, creando un gomitolo di trame fatte apposta per il gusto dei lettori che vogliono storie. Ma, come tutti gli scrittori di razza, Greene sa conferire al romanzo di "intrattenimento" il valore aggiunto di chi sa indagare i grovigli e la drammaticità degli animi, dei destini. Metteteci in più il fascino del viaggio, di queste dimore mobili, vagoni letto e ristoranti pieni di luci che attraversano l'Europa gelida: il paesaggio fuori cambia di continuo ma all'interno i viaggiatori vivono la loro fissa realtà di chiacchiere, sonni agitati nelle cuccette, tintinnare di calici, incontri, seduzioni e diffidenze. Di notte, fuori corre il buio appena trapunto di luci, di giorno vengono incontro alberi, case, pali del telegrafo, città, bufere oblique di neve (come scrive nella postfazione il curatore Domenico Scarpa, il treno di Greene è "simile al movimento di una macchia da presa"). Ci sono anche le soste nelle stazioni - chi sale e chi scende, gli odori di fumo e di caffè - e, sempre, l'affanno di uomini e donne che corrono verso i treni, gli appuntamenti, le attese, le delusioni e gli enigmi del viaggio. Anzi, della vita: di cui il "treno per Istanbul" è metafora.
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Giuseppe Berto
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