Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

22novembre
2019

Eshkol Nevo

Neri Pozza

«Questo è il libro più triste che ho scritto, ma anche il più divertente, poiché la malinconia richiama necessariamente l'ironia, per riequilibrare le cose». Così Eshkol Nevo, 48enne scrittore israeliano, sul suo ultimo romanzo appena uscito in italiano da Neri Pozza. Nevo, che avevamo molto, molto apprezzato in "La simmetria dei desideri", "Nostalgia", "Tre piani" e apprezzato (ma soltanto un po' meno) in "Neuland" e "Soli e perduti", conferma, nella percezione di lettura, la confessione dell'autore. Infatti "L'ultima intervista" è amaro e tenero, triste e comico, realistico e surreale. Spiazzante rispetto agli altri suoi titoli, il romanzo di Nevo racconta di uno scrittore il quale, rispondendo a una delle solite interviste formali, decide di non recitare le consuete risposte di maniera ma di mettersi a nudo e narrare a spizzichi la sua vita, le sue nevrosi, gli amori, le amicizie, il proprio rapporto con la scrittura, con la sua patria sempre in perenne tensione drammatica. È la vita peronale, privata, a venir fuori, ma come si sa il "privato" esistenziale non può mai sottrarsi al "pubblico", la vita è sempre un impasto fra un "io" e gli "altri", fra un individuo e lo sfondo collettivo. Non credo che ci sia troppa autobiografia in questo romanzo (Eshkol Nevo non è "quello scrittore"): e tuttavia se uno scrittore racconta uno scrittore di età e contesto simili ai suoi, qualcosa di suo e di sperimentato dovrà pur passare. Poco importa questo, ai fini del tuffo che il lettore compie immergendosi in questa storia di dubbi, sbagli, innamoramenti, malintesi, desiderio di riscatto sentimentale e vocazione alla scrittura. La formula dell'intervsta permette due approcci. Il primo è quello di una ironica caricatura delle solite domande che i giornalisti fanno agli scrittori ("lei pesca dalla vita reale i suoi personaggi oppure li inventa totalmente?" Quanto c'è di suo nelle sue storie?" O, peggio, quando si ardisce l'intimismo da questionario di Proust: "quand'è l'ultima volta che ha pianto?". Il scondo approccio permette all'autore di scomporre il romanzo in una serie di quadri-risposta di riflessione in cui lo scrittore (quello inventato) di fatto racconta la propria vita senza darlo a vedere. È un Nevo nuovo e diverso, questo, rispetto agli altri suoi romanzi, i quali poi a dire il vero già si differenziavano ognuno rispetto all'altro, in un continuo cammino espressivo e di contesti. Questa volta l'artificio dell'intervista allo scrittore permette un gioco allusivo e seducente di ambiguità: infatti, se è vero che ogni scrittore inventa e dunque di fatto anche quando sembra dire il vero comunque egli inventa il suo "vero", allora anche rispondendo a una intervista, per quanto egli mostri di volersi mettere a nudo, noi non sapremo mai fino a dove egli dica la verità oppure faccia ancora lo scrittore: vale a dire inventi. Che fa dunque lo scrittore inventato da Nevo? Racconta anche delle bugie? Pare di sì. E quanto dell'Eshkol Nevo vero sta nello scrittore che lui mette in scena? Domande giustamente irrisolte.