Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

29marzo
2025

​Joseph Conrad

Einaudi

Una nave da comandare, per il marinaio Joseph Conrad (1857-1924), nato polacco, esiliato adolescente prima in Francia e poi in Inghilterra, diventato navigatore, capitano di vascello e soprattutto grande scrittore in lingua inglese, una nave da comandare, dunque, per lui, è la vita, è la vagheggiata ombra del destino. Il tutto, custodito dentro una nebbia vaga, una fluttuante ambiguità di significati plurimi, di sguardi interpretativi offerti come allusioni alla libertà dei lettori. Questo è Conrad. Chi ha letto con noi (ci abbiamo lavorato sopra con i nostri Circoli di lettura) il racconto “Il compagno segreto”, contenuto nella trilogia “Fra terra e mare”, scoprirà ora, con questo racconto, una specie di indiretta prosecuzione del primo, una continuazione vaga ma afferrabile: riappare sotto diversa forma la rappresentazione simbolica ma anche realissima del cammino verso una maturazione di vita, un destino esistenziale e affettivo, una capacità virile di essere uomo. Proprio sul punto di quella vaga percezione di una “linea d’ombra” che separa la speranzosa chiarità della prima giovinezza e l’entrata nella brumosa prospettiva della maturità, l’io narrante del racconto (quasi lo stesso de “Il compagno segreto”) riceve inopinatamente la proposta di assumere il comando di una nave (un veliero) il cui capitano è appena morto di malattia e forse di pazzia. Il nostro protagonista stava già per abbandonare l’ebbrezza essenziale del mare (per lui brodo naturale di esistenza e unica ipotizzabile premessa e promessa di felicità) quando quell’invito ad essere capitano lo rilancia dentro la sfida a tentare di conquistare appunto quella possibile felicità, ovvero a raggiungere, oltre la linea d’ombra, il compimento del proprio destino. Questo è il sunto allusivo, simbolico, allegorico e nondimeno concretissimo, del racconto (o romanzo breve); il resto è narrazione pura, realismo scolpito dalle parole, linguaggio marinaresco e di vita, pulsioni di caratteri difficili, sospettosi, febbrili. E arriva anche la febbre vera e propria, una epidemia di malaria che percuote la nave bloccata in una limacciosa bonaccia senza vento e dunque senza direzione di navigazione (di vita?). Si intrecciano rapporti forti e difficili, virili e cauti, fra il capitano, il suo primo ufficiale un po’ invidioso e rancoroso e i diretti collaboratori (fra i quali il fedele cambusiere, ovvero l’addetto al nutrimento, al mantenimento della vita a bordo). Su di loro, sull’equipaggio stremato dall’epidemia grava anche la figura fantasmica dell’antico e vecchio capitano morto a bordo, il quale sembrerebbe aver gettato sul bastimento una specie di maledizione. Ma il nostro giovane capitano “quasi maturo” non si arrende e sfida la malattia, la bonaccia, le diffidenze e l’aura di morte e porta in salvo quel che resta dell’equipaggio malato ed esausto, pronto a ripartire con linfa ed equipaggio nuovi, avviando la nuova navigazione verso la rotta del destino, oltre la linea d’ombra.