Circolo dei Libri

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05ottobre
2017

Mario Vargas Llosa

Einaudi

Compie 40 anni uno dei più affabulatori, coloriti, carnali romanzi di Mario Vargas Llosa, l'importante e bravissimo romanziere peruviano di 81 anni, premio Nobel per la letteratura nel 2010: un narratore puro. "La zia Julia e lo scribacchino" (Einaudi) è un incrociarsi pirotecnico di storie vivide, una vera festa della immaginazione narrativa, affidata al personaggio di uno scrittore stravagante e stralunato, una specie di Balzac creolo, un piccoletto sgraziato dalla voce affascinante e dall'immaginazione poderosa che sforna, per dodici ore al giorno, romanzi radiofonici che appassionano le folle. In mezzo a queste storie corre quella del giovane Mario, che spera di diventare scrittore. E poi c'è la zia Julia: boliviana, divorziata, ha 32 anni, è molto bella ed è venuta in Perù, dicono, per trovare un altro marito, possibilmente ricco. Mario, il giovanotto di belle speranze inventato da Vargas Llosa, ha naturalmente un forte accento autobiografico, studia diritto di malavoglia a Lima e ama immaginarsi scrittore in una mansarda sui tetti di Parigi intento a creare capolavori. Per il momento però si sfianca a battere sui tasti della macchina per scrivere dei racconti un po' strani che le riviste gli respingono e a curare piccoli notiziari per una stazione radiofonica. Ed è alla radio, in quei lontani anni Cinquanta peruviani, che nascono ogni giorno, a puntate, i fluviali romanzi radiofonici di cui si diceva e che incantano il grande pubblico. Pedro Camacho, l'autore, è un ometto avvizzito dagli abiti lisi e dai tratti bruttini, ma possiede occhietti vividi e una bellissima voce vibrante con la quale lui stesso, assieme agli attori, modula ogni giorno i suoi racconti alla radio. Camacho è un enigma, uno scherzo della natura, un maniaco della scrittura, un istintivo genio della narrazione compulsiva. Mario Vargas Llosa squaderna e incrocia quelle storie davanti ai nostri occhi e le sospende a un certo punto lasciando la suspense dell'attesa per tornare al filo reale della cosiddetta storia vera di Mario e poi subito dopo fare affiorare un'altra delle storie carnose e palpitanti di Camacho. In questo fuoco pirotecnico di racconti robusti, pieni di fisicità, malizia, stranezze ed eccentrici, maniacali personaggi, cresce adagio la tenera e goffa passione sentimentale di Mario per la bella zia Julia. A quei tempi l'amore di un diciottenne per una zia acquistata e divorziata di 24 anni più vecchia sarebbe un grande scandalo. E in effetti i due sembrano proprio tubare in modo amoroso e maldestro e gli occhi e le bocche maldicenti spiano e deprecano. Tutta questa commistione di storie - siamo alla vertigine della narrazione pura, con grande sapienza drammaturgica e continue svolte di stupore e curiosità per il lettore - mette insieme un romanzo che diventa la storia delle storie, il libro della febbre narrativa, la danza di vite cavate dalle pagine come un prestigiatore cava colombi dai cilindri. Mario Vargas Llosa, che oggi porta bene i suoi 81 anni, è un gran signore con il fiore del premio Nobel all'occhiello e persino un passato di politico ( da liberale, dopo essere stato da giovanissimo un tifoso di Fidel Castro, tentò senza successo di diventare presidente del Perù). E' uno dei maggiori romanzieri viventi. E' l'altra faccia del famoso "realismo magico" di Gabriel Garcia Marquez: i due sudamericani, entrambi laureati dai giudici di Stoccolma, entrambi dotati del dono della narrazione affabulatoria, sono diversi ma hanno anche tratti in comune. Dalle pagine di entrambi si sprigionano tocchi di ironia aspra e fisonomie di memorabili personaggi al limite del grottesco e della stravaganza. Entrambi sono giocolieri che sanno dare magia e carnalità alle parole, entrambi giocano con il dramma e la malizia, entrambi conducono il gioco di una allusività erotica e di un certo cauto pessimismo sulla natura umana che non toglie a loro, comunque, il piacere di divertirsene.